Un fuoriclasse (e gli altri)

In Portogallo, contro una nazionale senza l'asso epocale (Eusebio), non qualificata per la Coppa Rimet e in fase di evidente declino, l'Italia disputa l'ultima amichevole importante nella preparazione del torneo messicano. La critica si aspetta un consolidamento degli assetti di squadra, un gioco più fluido, una ulteriore crescita sul piano del gioco. La vittoria è onesta, ma i dubbi permangono. Sono dubbi che riguardano lo spessore del centrocampo, e il solito dualismo tra Mazzola e Rivera. Per fortuna, c'è Riva e Riva mette tutti d'accordo. Porponiamo qui le riflessioni dettate da Giovanni Arpino a commento della partita.


Lisbona, lunedì matt.
Gli unici veramente felici a Lisbona sono i marinai della «Michelangelo», arrivati a ventisette nodi orari da Genova pur di non perdere l'incontro degli azzurri con il Portogallo. La Nazionale sollecita un determinato tifo, orgoglioso e pieno di speranze. L'attesa che la circonda è legittima e merita ricompensa. 
E' giusto dire: non creiamo polemiche, invitiamo l'intero clan azzurro a prepararsi in pace e senza attriti per l'impresa messicana. Siamo stati tra i primi a sostenere questa necessità. Però non possiamo, da questa posizione, passare addirittura all'idillio, che sarebbe ingiustificato, perfino colpevole. 
La Nazionale c'è, o meglio la si comincia ad intravedere, ma ha ancora bisogno di molto lavoro, non tanto sui singoli uomini, che entreranno in forma al momento opportuno, quanto per gli schemi di gioco. 
C'è Riva, e va bene. Riva fa tutto. Dategli tre palloni decenti in novanta minuti, e lui ne scaraventa in rete due e l'altro lo traversa anche se nessuno si è fatto avanti a raccoglierlo. Riva è come un grande pugile in agguato sul ring, sempre alla ricerca dell'attimo in cui sferrare il suo uppercut decisivo. Ma è troppo azzardato sperare soltanto in questo uppercut. E' necessario che gli azzurri abbiano a disposizione un più ricco repertorio di colpi. E' giusto, quindi, costruire la Nazionale per Riva e su Riva, ma c'è modo e modo per erigere questa costruzione, dal basamento fino al tetto. 
La vittoria sui modestissimi portoghesi non deve far strillare di gioia. Abbiamo visto una difesa abbastanza registrata, abbiamo potuto notare come due punte (Riva e Anastasi nel secondo tempo) siano indispensabili per costruire un minimo di gioco e di pericolosità in attacco. Ma il centro campo difetta ancora. Non è il Mazzola centravanti che serve, è il Mazzola della finale europea a Roma, il Mazzola mezz'ala veloce, dal passaggio teso, dalla «marcia in più». 
Rivera potrà essere utile più di una volta, ma il centro campo azzurro, con il Rivera di sempre, è lento, elabora troppi palloni anziché spedirli secondo linee verticali. Accanto a De Sisti, lavoratore continuo e prezioso, è necessario appunto Mazzola, il suo scatto rifinitore, il suo suggerimento rapido. 
Questo è il tema tecnico della giornata. E forse bisognerebbe aggiungere che le punte convocate per il Messico sono un po' poche. Che succederebbe se mancasse uno degli attuali titolari? Come avanzare uno dei nostri centrocampisti, che hanno perso o non hanno mai avuto la mira e lo scatto risolutivo degli ultimi metri? Riva è insostituibile, ma non lo si può abbandonare tra due o quattro uomini e sperare di trovarlo ogni tanto con un rarissimo passaggio azzeccato. Si fa urgente la necessità di affiancarlo in modo stabile, di dar fiducia ad Anastasi, e di avere una terza punta (non il solo Gori) a portata di mano per ogni eventualità messicana. 
La lezione di Lisbona è esemplare: non abbiamo ottenuto una vittoria da fumo negli occhi, non abbiamo schiacciato uno squadrone, ma appena appena dato l'alt ad un avversario privo di idee, di potenza (e di Eusebio). Per il Messico ci vuole di più: non solo dagli stessi uomini schierati in Portogallo, ma da tutto il clan degli azzurri od azzurrabili. Riva non è San Gennaro: non gli si può chiedere un miracolo ogni tre giorni. 

Stampa Sera, 11 maggio 1970

Vedi il servizio sulla partita in Cineteca