Come un esame di riparazione


Bernardini, Facchetti, Zoff, Roggi.
Al Maksimir di Zagabria torna in campo l'Italia, dopo il disastro mondiale. A guidare la ricostruzione (che prevede il pensionamento dei nostri stagionati assi - Mazzola, Riva e Rivera) c'è, come si sa, il Dottor Pedata, alias Fulvio Bernardini. Ispirato e un po' sarcastico, fotografa il momento un grande Giovanni Arpino.


Zagabria, 27 settembre.
Il dottor Bernardini non è Cesare, il fiume Sava non è il Rubicone, ma c'è da saltare lo stesso, sia per il commissario sia per una Nazionale azzurra che tenta, dopo il disastro di Monaco '74, un primo, nuovo passo fuori della culla. Diciamo «una» Nazionale e non «la» Nazionale, perché la squadra messa volonterosamente insieme dal Dottore alias Fuffo è per ora solo l'abbozzo di una «équipe» autoritaria, dotata di precisa fisionomia. L'operazione di ringiovanimento operata dal nuovo C.T., dopo una «setacciata» di quasi sessanta uomini, è frutto di lavagna, d'una coerenza con le idee più che con la pratica. Se dici a Capello: sta indietro, e aggiungi a Benetti: ispira in avanti, è chiaro che il disegno teorico, eseguibile a tavolino, diventa oscuro e fors'anche velleitario sull'erba. E così, durante l'ultimo allenamento della «Nazionale in provetta», la Pistoiese, gagliardamente priva di sudditanza psicologica, mette in crisi il centrocampo azzurro e fa piangere la critica. 
Bernardini dice: e va bbene, accentuando i modi romaneschi, si migliorerà, state a vedere. Ma lui stesso si rende conto che una sconfitta, seppure «amichevole», in questa partita jugoslava, aprirebbe crepe palesi e recondite nei suoi piani di ricostruzione. Una logica, nel procedimento finora adottato dal Dottore, c'è. Però, come succede anche durante numerosi consulti medici, chi esclude che l'operazione riesca e il malato invece muoia? 
Per uno di quei famosi disguidi tattici in cui si manifesta il genio organizzativo della nostra Federcalcio, vedremo i «grandi» azzurri a Zagabria, ma non faremo in tempo a raggiungere i «piccoli» azzurri a Cesena. E questi sono forse più interessanti dei fratelli in età, anche se come complesso appaiono, per ora, un poco analcoolici. Se la Nazionale da inventare, allevare, irrobustire è quella dei ragazzi Antognoni, Guerini, Scirea, perché soffrire sul piedone di Romeo e su alcune assenze [gravi] in quel di Zagabria? Mancano non solo i «divini», cioè Mazzola e Rivera, ma anche i Causio, gli Anastasi, per non dire i Graziani, gente che ci pare indispensabile nelle trame dei nostri possibili Azzurri momentanei. Libero di servo encomio, cioè riscattato dalla sudditanza riveriana, Benetti deve operare quasi da regista. Come se Bud Spencer, anziché distribuire finti cazzottoni, fosse obbligato a recitare l'Amleto. 
Gli jugoslavi sono pur essi inediti. Dopo le buone ma non fastose esibizioni ai mondiali hanno perso uomini approdati in Occidente per far soldi, altri sono o ammalazzati o militari. Tuttavia provengono da una buona scuola, hanno una tradizione dignitosa, talora arcigna, si batteranno. In casa, accentueranno l'abile tendenza a far viaggiare (e tenere) palla, per studiare il corridoio utile. Ora, noi abbiamo un Giacinto Magno che come «libero» ha quasi tutto, in potenza, compresa l'età, e che deve comandare il suo reparto per eliminare disordini: un «libero» che comandi poco è vittima delle confusioni create dai compagni. Davanti a Facchetti ecco Capello, responsabilizzato fino all'ossessione. Dovrà fare il Monti degli Anni Trenta, il Rivera degli Anni Sessanta e il regista degli Anni Ottanta. Questo la dice lunga sullo scarso materiale umano che alberga nei nostri solai. I due margniffoni da gol, cioè Prati e Boninsegna, possono risolvere una partita avendo anche un solo pallone in novanta minuti. 
Ma Bernardini, e noi, e tutti, vogliamo altro. Cioè intravedere un embrione possibile di gioco, un'idea, ancorché gracile, di struttura portante. Del pareggio o vittoria o anche sconfitta ci importa come d'un cavolo a merenda. Davvero? Davvero sì, anche se per i tifosi, che alla lunga condizionano tutto l'ambiente, solo la vittoria, e cioè quel cavolo merendero, conta. 
In prospettiva, all'orizzonte, vediamo il «mucchio selvaggio» di olandesi e polacchi, che ci attendono, nel '74 e nel '75, per offrire una torchiata ai campionati europei. Non sono marziani, ma non è certo «questa» squadra azzurra che potrà affrontarli. Se i nostri baldi eroi in mutande devono acquistare esperienza per il '78 argentino, allora giochi chi ha più «chanches» di volare tra i gauchos, non quelli che tra quattro anni saranno giubilati più o meno felicemente. 
Ma come si fa a parlar di calcio quando c'è di mezzo la Nazionale? Questo è argomento che intriga gli animi e fa fremere persino le nonnine, ignare del «tackle» ma non del prestigio onorario. Tant'è che illustrissimi elzeviristi hanno già composto lacrimosi epitaffi sul Rivera che non c'è più, e che, cosi continuando, diventerà ancora più mitico per assenza che non per presenza. Una sconfitta a Zagabria e state sicuri che suoneranno le solite trombette e i soliti tromboni: arridatece er regista nostro, meglio er cadavere suo che 'sti mastini incapaci de far quadrare la palla ... 
Rimandata brutalmente a ottobre dopo le esangui prove di giugno in Germania, la Nazionale è attesissima. Troppo. Si è già creato quel clima di isterica tensione tifosa che produce solo danni ai muscoli e al sistema nervoso dei giocatori. Bernardini spera in un parto felice, magari col forcipe. Noi non strilleremo se il neonato apparirà flebile. Per riavere una «squadra» è indispensabile un minimo di tempo. E questo tempo comincia oggi. Siamo al primo gradino, non a metà della scala. Chi cerca scandali nel non-gioco all'italiana, pazienti: potrà sfogarsi in campionato. Per ora, vecchi e nuovi azzurri, fate voi. Se vi divertirete sul campo, qualcosa accadrà. Talvolta basta poco prezzemolo per dar profumo all'arrosto riscaldato.

"La Stampa", 28 settembre 1974, p. 19
La partita: tabellino - highlights

Quelle omeriche risate

Il grande Kalusha Bwalya
Ai Giochi Olimpici di Seul, l'Italia si presenta con una squadra ritenuta competitiva dalla critica. Esordisce sotterrando di reti il Guatemala, ma alla seconda partita incappa in una batosta storica, reputata paragonabile a quella subita dalla Corea. Ne scrisse, su La Repubblica, Gianni Brera. Riportiamo il commento, spassoso anzichenò.



I gagliardi Bantù non vengono tutti dallo Zambia, di cui vestono i colori. Lo Zambia ha una superficie che è superiore del doppio a quella dell'Italia e una popolazione che è inferiore a un decimo della nostra. Povero come tutte le ex colonie cinicamente sfruttate per secoli, esso è perfino costretto a esportare pedatori.

Dal canto suo, ricca come nessuno avrebbe mai pensato che potesse diventare un giorno, la spensierata e disinvolta Italia è indotta a importare gente che finalmente la diverta dopo aver sofferto i mercenari impostile dai Signori che ne usurpavano i governi. Nonostante i continui ricorsi all'estero, la presunzione è andata egualmente crescendo qui da noi fra i cultori di uno sport esercitato soprattutto sedendo super gluteos. Qualche buona impresa propiziata in passato dalla ambizione e dalla fortuna induce ancor oggi gli italiani a ritenersi da molto più che in realtà non siano. 

E' però fiero il cronista di aver precisato, nella sua prima nota tele-olimpica, che i pedatori italiani erano come sempre i favoriti di sé medesimi. In verità era sembrato un miracolo che Zoff non avesse mai perduto affrontando piccole e non molto convinte aspiranti al viaggio verso Seul. La fortuna di Zoff non era bastata a convincere tutti sul valore dei suoi grognards. Nello zaino aveva un bastone di maresciallo e per sé lo ha tenuto, passando ad altro esercito. La sua greca ufficiale è stata però conferita al giovane e impetuoso Checco Rocca, soprannominato Kawasaki. Costui ha sacrificato qualche apparente relitto e qualche altro ne ha confermato. Il solo fatto di vestire la maglia azzurra ha piacevolmente convinto i nesci (e non solo quelli) che la squadra ambiguamente varata da Kawasaki dovesse considerarsi fortissima. Da qui, il rilievo scherzoso del cronista nel chiudere la sua prima nota tele-olimpica. Le reni del Guatemala, naturalmente sderenato per nascita, sono state spezzate in senso unicamente figurativo. Tuttavia, i guatemaltechi hanno mortificato due volte la possa truculenta di Tacconi, a suo tempo giustiziere parolibero di Zenga.

Poi, sono arrivati i Bantù. Dannato io sia se un giornale che è uno in tutta Italia ha ritenuto di dover andare oltre l'ovvia considerazione che bisognava battere lo Zambia per qualificarsi! Nessuno ha tenuto conto delle differenti posizioni etiche e morali di due Paesi e dei loro popoli di fronte allo sport. Oggi basterebbe rilevare che i Bantù, poveri in canna, esportano pedatori scelti in Europa e che gli italiani, peraltro illuminati di immenso, importano per miliardi pedatori da tutto il mondo, e di tifare per loro si beano ed esaltano secondo senso della misura. Chi ha seguito la partita fra italioti e Bantù si è dapprima fregato gli occhi, convinto di stravedere, ma ben presto si è dovuto rassegnare ad ammettere le leggi imprescindibili del campo. I nevrili longilinei dello Zambia correvano decisi; gli italianuzzi esitavano, trovandosi costantemente in ritardo di mosse. Chi ha creduto di vedere un certo distacco nei nostri prodi si è banalmente sbagliato: era smaccato ritardo fisico, non distacco morale!

I Bantù dello Zambia hanno segnato allo scadere del primo tempo su assolo di Kalusha Bwalya e sinistro diagonale basso sul quale Tacconi ha steccato in misura inversa alla violenza del tiro. Poi, Tacconi ha clamorosamente rinnovato le dicerie degli antichi romani, secondo i quali tardi erant umbri: non ha neppure capito se una punizione dal limite fosse diretta o su due calci. Si è mal piazzato alle spalle di due sparuti compagni in barriera e il solito Kalusha lo ha uccellato bellissimamente sul primo palo. 

Non basta! L' ineffabile Tacconi, soffocando fra i pali, forse troppo vicini, si è avventurato in avanti e un Bantù che non era Kalusha ha scelto il tempo esatto per sorvolarlo, perpetrando l'inaudito 3-0. Nei recuperi, il magnificente Kalusha si è vendicato di un pestone facendo elegante tripletta personale. L'arbitro inglese Hackett ha avuto modo di convincersi che i pedatori italiani sono maleducati, riottosi e, in fin dei conti, ingenui oltre misura. Sicuramente irritato, non gli ha mai perdonato nulla.

In Italia, i giornali hanno espresso scandalizzato stupore: non già sopra sé medesimi, bensì per il bieco tradimento dei loro favoriti (?). E hanno concluso con salomonica grullaggine che per qualificarsi bisognerà battere l'Iraq.

Il pianto dei dirigenti e dei critici italiani sull'andamento dei Giochi rasenta l'intensità di quello espresso dai greci nelle loro tragedie. Pochissimi si degnano di ammettere che le medaglie di Mosca erano state molte e addirittura troppe le medaglie di Los Angeles per il semplice fatto che nello stadio Lenin e al Coliseum mancava mezzo mondo. A Seul, i Paesi scesi in campo sono ben 160 ed è bastato il fiero ma piccolo popolo Bantù per mettere sotto i nostri calciatori.

Le mie notti avventurate hanno trovato utile sollievo nel volto simpatico e sgherro di un possibile congiunto del più grande romanziere e politico italiano, quel Tommaso Campanella che, pur languendo 28 anni in prigione, trovò modo di scrivere la Civitas Solis. In quel famoso romanzo politico, il frate calabrese deplorava che gli uomini, pur tanto solleciti nel migliorare le razze dei loro animali, non pensassero affatto di correggere le proprie sbolinate linee di sangue.

La Civitas Solis era così geniale ed ottimista da rasentare il candore. Frate Campanella era anche indovino ma forse non ha appreso dagli astri che un suo omonimo diciottenne avrebbe finalmente potuto nutrirsi da agiato europeo e imparar il pugilato come neanche Pindaro a pagamento si sarebbe potuto sognare. Il ragazzino Campanella crotonese come Milone! consola il cronista di ogni sconsiderata nequizia commessa in pedata e lo esime per una volta dal parafrasare ser Francesco Guicciardini. Al quale ha fatto dire ormai da molti anni: 'Che se tu fiderai nelli italiani, sempre avrai delusione'. Ora aspettiamo che i componenti la Lega Calcio mandino a Lusaka, capitale dello Zambia, i loro osservatori particolari. Di certo negli oratori cattolici e protestanti di Lusaka pedatano ragazzi che con due cocomeri ed un peperone si possono tranquillamente assicurare alla pedata italica. Ho già avuto occasione di scrivere, nella mia lunga vita, che la massima invenzione degli italiani deve considerarsi la loro acuta intelligenza. In attesa di una conferma così importante, celebriamo come si merita la ventiquattresima Olimpiade, istituzione quanto altra mai sacra nella storia dell' uomo antico e moderno.

La Repubblica, 20 settembre 1988
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