Niente diretta per la Juve!

Mercoledì 20 marzo 1968, al famigerato (per noi) Wankdorfstadion di Berna, la Juventus e l'Eintracht di Braunschweig disputano lo spareggio per l'accesso alle semifinali di Coppa dei campioni. Già: l'andata (in Germania) è finita tre a due per i tedeschi. A Torino, un rigore di Bercellino a due minuti dalla fine consente alla Juve di pareggiare i conti (non vale ancora la regola dei gol in trasferta). Diretta TV? Niente da fare ...


Quella stessa sera, peraltro, anche il Milan è impegnato in uno spareggio. Contro lo Standard Liegi, per accedere alle semifinali di Coppa delle coppe (trofeo che i rossoneri alzeranno a maggio). Questa partita si gioca a San Siro, e una copertura televisiva (parziale) è garantita, almeno per il secondo tempo. Ma solo fuori dalla Lombardia e dai territori coperti dal famoso trasmettitore di Monte Penice ...

Erano altri tempi.
Questo il palinsesto televisivo di quel lontano mercoledì


Mamma, li turchi!

16-18 marzo 1954

Tra marzo e aprile del 1954 si veniva definendo il quadro delle nazionali destinate a contendersi in Svizzera, nell'estate, la Coppa Rimet. Dei sedici posti a disposizione, l'Europa ne poteva prenotare dieci (undici in realtà: la rappresentativa elvetica era naturalmente ammessa d'ufficio); alle qualificazioni parteciparono ventisette équipe nazionali, divise in piccoli gruppi da tre oppure (fu il caso di Italia ed Egitto, Austria e Portogallo, Turchia e Spagna) opposte in una sfida diretta (andata e ritorno) per guadagnare l'ambita casella.

In queste sfide dirette non valeva la logica del numero complessivo di reti segnate. In caso di una vittoria per parte, a prescindere dal punteggio, si sarebbe dovuto procedere a un terzo match in campo neutro. E' quanto accadde tra Spagna e Turchia: la gara di andata, giocata il 6 gennaio a Madrid, finì 4:1 per i padroni di casa; a Istanbul, il 14 marzo, i turchi si presero l'inopinata rivincita (1:0). Lo spareggio fu organizzato a Roma, e messo in calendario a soli tre giorni di distanza: per la sera di mercoledì 17, nello 'Stadio dei Centomila'. 

Naturalmente, Vittorio Pozzo non si lasciò sfuggire l'occasione per seguire da vicino la resa dei conti, informandone i lettori de 'La Stampa'. Cronache dalle quali selezioniamo i passaggi più gustosi.


16 marzo
Gli spagnoli hanno preso il risultato di Istanbul come uno schiaffo in pieno viso: un affronto al loro gran nome calcistico. Sono sicuri di vincere domani a Roma, ma dicono che la vittoria non riuscirà a cancellare l'onta subita: è una espressione che abbiamo raccolto nel loro ambiente oggi stesso. Si trovano in un periodo di transizione, di trapasso dal vecchio al nuovo. Dei giuocatori che si erano portati cosi bene a Rio, quattro anni fa, non hanno conservato che i due mediani laterali Gonzalvo e Puchades, e l'ala sinistra Gainza. Ora allineano, come mezz'ala sinistra Kubala, l'ungherese-slovacco, naturalizzato spagnolo dopo l'anno di attesa passato a Busto Arsizio, e la sua presenza richiamerà gente. Hanno cambiato più volte commissario tecnico, gli spagnoli, in questi ultimi anni, ma dallo stato di incertezza e nebulosità non sono affatto usciti. I turchi, per loro conto sono ora contenti di quanto hanno fatto. Se riusciranno a fare qualche cosa di più bello ancora, tanto meglio: ma non sono nervosi. Li guida tecnicamente ed anche moralmente un italiano che è un fior di ragazzo, Sandro Puppo, uno dei prodotti della nidiata delle olimpiadi del '36, ed è da considerare come un risultato dell'opera sua il fatto che la Turchia giuochi domani a Roma ... Il pronostico volge a favore della Spagna, colla combattività dei turchi sempre in grado di dare luogo ad una sorpresa.

17 marzo (pre-partita)
E' capitato improvviso, questo soffio di attività internazionale nell'ambiente sportivo romano. Nessuno se lo aspettava. Pochi pensavano che la Spagna dovesse uscire sconfitta dall'incontro di Istanbul. La notizia del rovescio — che tale esso è malgrado la stretta misura del risultato — è giunta nella capitale quasi contemporaneamente alla squadra spagnola 'rossa'. La quale si è affrettata a lasciare la Turchia al più presto, per prepararsi subito per la gara decisiva, che viene essenzialmente considerata come una occasione di rivincita. Nelle prime ore del pomeriggio di lunedi, gli spagnoli già erano a Roma. Li abbiamo visti ieri. All'albergo che è il loro quartier generale, gli spagnoli crescevano di numero ad ogni istante. Gente dell'ambasciata e del consolato, seminaristi che studiano a Roma, dirigenti di società e giornalisti accorsi in fretta e furia, per le vie del cielo, da Madrid e da Barcellona. II risultato di Istanbul aveva messo in allarme tutti quanti. Il sasso nella piccionaia. Correre rischio di essere esclusi dalla fase finale del campionato del mondo. Per intanto, quattro cambiamenti apportati alla formazione che ha perso a Istanbul dovrebbero salvare la situazione contingente. Fra l'altro, ritornano in squadra due anziani di grido, Gonsalvo come mediano destro e Gainza come ala sinistra, mentre il multicolore e proteiforme Kubala verrà spostato dal centro della prima linea alla mezz'ala sinistra. E' l'attacco che ha giuocato peggio di tutti a Istanbul, e questo subisce tre modificazioni su cinque posizioni. Nessun orgasmo viceversa nel campo dei turchi. Il buon Puppo è contento dei suoi ragazzi, dopo l'esperimento fatto contro i cadetti Italiani a Istanbul, ha rinnovato, ringiovanito la squadra in otto casi su undici, e tutto è andato bene ... Scongiurato il pericolo dello sciopero del personale degli autobus, ci sarà gente oggi allo stadio se il tempo manterrà il suo attuale carattere primaverile. Gente che non dovrebbe, una volta tanto, fare il tifo per nessuno.

17 marzo (post-partita)
Questo capitolo della storia internazionale calcistica dovrebbe venire intitolato al dramma della squadra nazionale spagnola. Un dramma che è durato tre ore, e le cui grandi linee vanno raccontate subito. L'undici che rappresenta i colori della Spagna va allo stadio per tempo, circa tre quarti d'ora prima dell'inizio della partita. I giuocatori sono già in tenuta di giuoco, perchè la formazione deve essere quella annunciata ufficialmente ieri sera. Mancano venti minuti all'entrata in campo: arriva di corsa un fattorino con un telegramma. E' per gli spagnoli. E' della Federazione italiana a nome della Federazione internazionale. Reca la proibizione per Kubala di giocare: per la nota questione della nazionalità. L'effetto è quello di un colpo di fulmine. Dirigenti, giuocatori, tutti in costernazione. Niente da fare. La squadra entra in campo con Perez al posto di Kubala.
Entra, giuoca male, impressionata, sconvolta. Segna all'11° minuto, grazie ad un errore del portiere avversario. Al quarto d'ora appresso si fa raggiungere per una mezza autorete del suo centro mediano. Uno a uno a metà tempo. Al 20° minuto della ripresa va in svantaggio, per disgrazia più che per altro. Riesce a stento a colmare il distacco, su una mischia conseguente ad un calcio d'angolo, una diecina di minuti dal termine. Sul due a due finiscono i tempi regolamentari. Bisogna ricorrere ai supplementi. Si tira avanti per due altri tempi di un quarto d'ora l'uno. Le due squadre, sconvolte, non combinano più nulla di positivo. Finito tutto, sul campo. I giuocatori, affranti dalla fatica, rimangono un istante a guardarsi. poi rientrano. Scena finale nella sala stampa dello stadio. Estrazione a sorte. La mano di un bambino al quale hanno bendato gli occhi, estrae dall'urna il nome della Turchia. Voliamo giù negli spogliatoi. In quello spagnolo i giocatori, seduti in fila sulle panche hanno le mani davanti agli occhi. Piangono. Accanto ad ognuno di essi, in atteggiamento di mesto consolatore, sta un seminarista. Una scena che colpisce. Nell'altro spogliatoio i turchi gridano, saltano, osannano, abbracciano tutti. Di qui il dolore. Di là il tripudio.
Cosi la Spagna è uscita dalla competizione in cui sperava di riportare la vittoria finale. Per mano degli infedeli. E nessuno di coloro che erano accorsi allo stadio dimenticherà il modo in cui la eliminazione è avvenuta e le scene a cui essa ha dato luogo.

18 marzo (coda)
I dolori degli uni sono le gioie degli altri, in questo crudele mondo nostro. I turchi, dirigenti e giocatori, sono cosi felici del modo in cui si è concluso il loro viaggio a Roma, che hanno reso partecipe della loro gioia il ragazzino che, nell'operazione del sorteggio, ha estratto il nome del loro paese dall'urna. Lo hanno colmato di gentilezze, lo hanno invitato a passare un mese a loro spese in Turchia, vogliono portarlo con loro in Svizzera nel prosieguo della competizione. 
II bambinello di Monte Mario si guarda attorno sperduto: non è ben convinto di essere diventato il porta fortuna od iI protagonista di una vicenda calcistica riguardante gli ottomani. Pare non possa dimenticare che a Roma i bambini quando invocano aiuto perché si credono minacciati da un grave pericolo, esplodono da secoli, notoriamente, atavicamente, nello strillo: "Mamma, li turchi!".

La partita: tabellino e video (con il momento del sorteggio ...)

Parevano scolaretti

Il 4 marzo 1972 gli azzurri disputano un'amichevole in Grecia. Valcareggi doveva preparare il quarto degli europei contro il Belgio. Fa esperimenti. E così, disse Artemio Franchi, "siamo riusciti a far diventare la Grecia un Brasile". Perucca trovava invece più efficace un'analogia con il Benfica. E' un triste pomeriggio, un'incolore prestazione. Il ciclo dei messicani sembra davvero chiuso. Lo vede lucidamente Arpino:  "la Nazionale d'archivio ha fatto il suo tempo, e anche una successiva coda. Fermiamola lì, all'ultimo ciuffo".

Le cristalline acque del Pireo hanno visto il tramonto di tante grandiose civiltà, possono tranquillamente lasciar andare a picco anche gli ultimi, squallidi sprazzi di una squadra azzurra che è ormai la negazione di se stessa. Ora, il cammino di Valcareggi può trasformarsi in un calvario, e tutti gli daranno addosso, sia i giganti sia i nani, sia i nemici di oggi sia i cauti o tronfi alleati di ieri. La verità è duplice: da una parte la squadra è davvero logora, stantia, ammuffita e ridotta a una groviera, dall'altra bisogna aggiungere che il povero Zio Ferruccio è persino ingenuo nel riporre fiducia in tanti uomini che allegramente lo pigliano per il naso. Lui dice: i vecchi hanno esperienza, sanno almeno combattere, si «trovano» ad occhi chiusi. E quelli gli fanno marameo o magari qualche gesto più pesante. Alla fiducia rispondono con una prestazione fiacca e moscia fino all'insolenza. Salviamo questi nomi: Mazzola, Rosato, Burgnich, in prima istanza. Se volete, salviamone per motivi tecnici, altri due: Facchetti, costretto a fungere da stopper, quindi in una zona che bisogna saper sfruttare a memoria, e Sala, buttato nel falò e con la pretesa che fosse d'amianto. Ma gli altri? Boninsegna ha cercato di avventarsi, e sia. Ma Riva? E i Benetti, Bertini, Bedin? E il povero Cera? E il disgraziato De Sisti? E Zoff, che pure ha mostrato, in un'occasione, 'mani di ricotta? 
E dove, soprattutto, sono andate a finire le proporzioni tra i reparti, quel «giocare a memoria» che era un po' la prima difesa d'ufficio dei vecchioni azzurri? Qui o si riparte da zero, e con coraggio, ricostruendo la squadra su altri blocchi, o si rinuncia al titolo europeo prima ancora di averne tentato la difesa. E su questa verità, né ci piove né ci grandina. Neppure la più astuta e calibrata chimica potrebbe rimettere in piedi i cavalli da tiro dagli zoccoli consumati, dal fiato corto e dal cervello presuntuoso. I greci di Bingham avevano perso con tutti o quasi. Formano una squadra onesta, che corre fino alla fine, che si mangia un sacco di gol anche quando riesce a portarsi liberissima sotto rete. Ha qualche uomo di media levatura e un centravanti, il lungo Antoniadis, che funge da faro distributore sia di testa sia di piede. Attorno ad Antoniadis i galoppatori greci svolgono un gioco rapido, obbedendo ad una loro quadratura tutt'altro che trascendentale. Allo stadio del Pireo una Juventus, un Torino, una Fiorentina avrebbero schiacciato i greci in retrovia fino a spuntare i gol necessari per addormentare la partita. Gli azzurri, presuntuosi turisti, no: pur sapendo di non riuscire più a difendersi come una volta, quando si «arricciavano» nella loro metà campo per poi scattare con contropiedi velocissimi. 
I greci hanno costruito oltre una mezza dozzina di palloni-gol. Verso la fine della ripresa avrebbero potuto segnare con ogni tranquillità almeno due reti, e inchiodare la nostra squadra su un risultato umiliante. A questi palloni-gol realizzati o sprecati cosa hanno opposto i nostri 'prodi'? Qualche atteggiamento plastico di Riva, qualche rabbiosa e fallosa carica di Boninsegna, alcune incursioni di Mazzola e i tentativi (brutti, per la verità) di Sala. Povero Zio. Si può discutere sul terreno, poroso e ingannevole come un vecchio tappeto su cui hanno giocato i cani di famiglia per almeno sette generazioni, si può discutere sul carattere di «amichevole» dato alla gara. Ma non era certo un'amichevole per i greci, e qui allora si dovevano palesare il valore, l'orgoglio personale dei nostri senatori, e la loro volontà di prodigarsi per ripagare la fiducia del povero Zio. 
Nient'affatto. Frana è, e dopo un bel sorriso, con tanti ricordi fotografici dell'Acropoli e la memoria messicana ridotta in poltiglia. Quindi, alle evidenti, annose, sottolineate (noi per primi) colpe di Valcareggi bisogna aggiungere l'accidia dei suoi uomini, la loro incapacità di nobilitare un sabato sportivo ripagando il pubblico locale e i milioni di telespettatori. 
La cronaca è una miseria di spinte e controspinte senza sugo. Allineare minuto per minuto le vicende di questa partita sarebbe fatica da maniaci. A Sala, che tarda ad ingranare, Mazzola dà subito una mano, ma De Sisti ha preso troppo sul serio il compito di retroguardia, tanto da uscire appena dall'area. Si vede Riva che trotterella come un re antico, felice che la luce pomeridiana gli faccia sfavillare la corazza, ma niente di più. Dov'è andato a finire il Riva che contro la Juventus creò tre stupendi palloni-gol? Di fronte alle acque del Pireo il poderoso Gigi si lascia anticipare da terzini e portiere quasi per scommessa. Il gol greco viene da un «buco» colossale di tutta la nostra difesa, perché ad un errore di Facchetti non rimedia Cera e forse scatta in ritardo Zoff. Poi Mazzola propizia un immeritato pareggio: evita in slalom due avversari che «bevono» e lasciano filtrare il pallone per il Feroce Saladino. Scatto, sinistro, il pallone è aiutato da un rimbalzo che stecchisce il portiere. Uno a uno e qui si dice: ora, avendogli prese le misure e avendo anche inghiottito un po' di spavento, i senatori reagiranno. Riva si esibisce in una punizione che fulmina sulla traversa, si accende qualche speranza, la partita sembra riscattarsi da quella che pareva una merenda sull'erba tra muscolari. Macché. Naviga come un torpido vascello fantasma Benetti, torcendosi su palloni con tutta la sua possa di leone ingrossato con gli anabolizzanti, hanno un bel difendere Rosato e Burgnich, dal centrocampo in avanti se il pallone non va a Mazzola, è notte fonda, notte da lupi. 
Ripresa in peggio: perché Bertini non sostituisce De Sisti rispedito avanti né «copre» come il De Sisti quando si arroccava indietro. E con Bedin dai lupi si passa subito ai vampiri, mentre Riva, bello, seguita a troneggiare laggiù, magari levando pure un pallone a Sala che sta per scoccare il tiro. Troneggia e si accontenta delle belle fotografie, evidentemente, neppure gli capita per la testa di tentare uno sfondamento vero. E palloni gliene hanno anche dati, non in numero eccezionale, ma sufficienti a dimostrare fegato, piede, tempismo, talento e voglia. 

Così precipita, frana la partita. Un corner per i greci, la testa di Antoniadis domina il pallone per Pomonis che tutto bello solo insacca. Dov'erano Cera, più Bertini, più Bedin? Usciti elegantemente per il tè? Gli azzurri, costretti controvoglia ad attaccare, sfoderano tutto un repertorio di indugi, assembramenti, sbagli, che portano finalmente in evidenza quanto l'ossatura di questa squadra sia gessosa, ormai. Altro che carattere! Altro che esperienza! Sembrano scolaretti, mentre i greci, brava gente, corrono ancora, e i senatori li guardano, stupiti di tanto accanimento. Corrono si, gli uomini del sergente irlandese Bingham, e trapanano le squadra vicecampione del mondo da ogni parte, rovesciandosi dal centrocampo nella nostra area, dove sprecano palloni che certo altri attaccanti non regalerebbero agli dei infernali. E cosi finisce, con il pubblico greco ormai uscito dalla sua beata sonnolenza e incredulo per tanta vittoria. 
Sarà la volta buona per assimilare la lezione? O un ennesimo colpo di carta assorbente cancellerà figuraccia e sconfitta? Una frustata nei garetti, Zio Valcareggi, prima a se stesso, se vuole, e poi ai suoi eroi di cartone, deve senz'altro affibbiarla. Per rivedere se trovano un minimo di dignità e quindi un minimo di valore calcistico sul campo. Tranne quei pochi «non colpevoli» e quegli altri, pochissimi, «per non aver commesso il fatto». E sia aria nuova, finalmente, con fasce e ginocchi che abbiano voglia di rischiare. La Nazionale d'archivio ha fatto il suo tempo, e anche una successiva coda. Fermiamola lì, all'ultimo ciuffo.

Giovanni Arpino

"La Stampa", 5 marzo 1972, p. 18

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