Un sacco di carbone

Il Dottor Pedata (Fulvio Bernardini), incaricato di ricostruire una nazionale competitiva dopo il fiasco di Stoccarda, mette per la terza volta in campo i suoi in un'amichevole di fine anno, a Genova, ospite la Bulgaria. Gli esordienti, stavolta, sono Luigi Martini (terzino di spinta) e (nel secondo tempo) lo sfortunato Vincenzo Guerini, centrocampista. In porta c'è Zoff, al centro dell'attacco Bonimba (sarà il suo ultimo gettone azzurro). Rocca simmetrico a Martini, difensori centrali Zecchini e Santarini. Damiani e Chiarugi le ali; Causio e Antognoni gli interni, protetti da Beppe Furino. Risultato: zero a zero. Fischi e critiche feroci. Giovanni Arpino (che pure era stato testimone privilegiato e acuto della disfatta in terra tedesca) invita Fuffo ad abbandonare rapidamente la scena.


Genova, 29 dicembre [1974]. 
A dieci minuti dalla fine comincia la grandine: cuscini di carta, ma anche berretti, un cappello, una sciarpa. I genovesi si sono stufati, e rinunziando alla proverbiale parsimonia, scaraventano in campo la zavorra superflua. Col poco fiato rimastogli in corpo dopo tanti incitamenti agli azzurri, ora riescono solo ad esprimere un coro di «bidoni-bidoni». Ma tra quei cuscini che vengono a cadere intorno al prato, manca qualcosa: cioè il cestino da viaggio che il Doktor Bernardini dovrebbe afferrare prima di far le valigie e dire addio al Club Italia. L'apprendista stregone per la terza o quarta o quinta volta ha sbagliato tutto. 
Lui dice che è ora di tirare le somme. Ma no, si limiti a una bella sottrazione. La Nazionale non fa per lui, ormai è evidente. Insistere su questa bell'anima, che non ha neppure la famosa fortuna di Zio Ferruccio, sarebbe pazzesco. Tutto il mondo pedatorio ci ha accusati per anni di «non gioco». Ora, al «non gioco» classico e contropiedistico nostrano, si aggiungono le varianti, il varietà, le bizzarrie tattiche dell'apprendista stregone Fuffo, che neppure su un campo casalingo riesce ad arraffare il gol dell'alibi vincente. Un gol che però avrebbe premiato gli azzurri (suoi, non nostri) al di là dei meriti, così scarsi da diventare invisibili. 
Provo quasi vergogna a dover commentare un tale obbrobrio di partita. Non è esistita la squadra, non si è visto un solo quarto d'ora filato di gioco decente, e di fronte vi erano i ragazzini di una Bulgaria-baby, che si disimpegnavano, smistavano palla, facevano argine elegante con tranquillità e persino eccessi di disinvoltura. Al più colossale «non gioco» della nostra storia calcistica, si è aggiunta la protervia fisica di gente che andrebbe spedita via dal terreno. Il signor Boninsegna, per esempio. Non avendolo cacciato l'arbitro Gonella nel primo tempo, quando cercò di mettere k. o. un paio di avversari a gioco fermo, doveva lasciarlo negli spogliatoi lo stesso Doktor, durante l'intervallo. Suvvia, un po' di eleganza, di fair-play; almeno nelle partite cosiddette amichevoli. Altro che risultalo, altro che ricerca del gioco: qui si tratta di essere uomini, di avere carattere e dimostrarlo. Tollerare i calcioni, le ditate negli occhi, colpi di gomito e arie da bulli inferociti non è proprio ammissibile. 
Che mai raccontare di questi novanta minuti, se non il tempo primaverile, la generosità e persino l'ingenuità degli spettatori, speranzosi di godersi uno spettacolo dignitoso? Siamo al «grado zero» per il football azzurro, abbiamo perso sei mesi di lavoro con la conduzione bernardiniana, e tuttavia sappiamo che la pedata italica non è a livelli così scarsi: dalla Juve alla Lazio, dal Milan alla Fiorentina al Torino, tutti giocano meglio. Sarà la superspecializzazione dei nostri furenti giovanotti, sarà la scarsità dei loro «fondamentali», sarà quel che volete, ma ogni squadra di club ha un cervello (magari impanato e fritto) e non oserebbe neppure presentarsi in campo raccattando uomini purchessia, scaraventandoli su binari di pura rabbia e senza un'idea nella zucca. 
La verità vera è che il buon vecchio Fuffo ha seguito per anni un calcio televisivo, e ora deve sperimentare e aggiornare se stesso affrontando la realtà: si chiami La Palma o Guerini o Cruyff. Oggi ha schiaffato in Nazionale proprio Guerini, che per carica e foga ha sbagliato quasi tutto, rischiando figure spaventose così com'era accaduto nel primo tempo al povero Furino. 
Bernardini si diverte? Forse. Noi certamente no. Avevamo scritto venerdì scorso: vedremo un centrocampo fatto di gente che si azzanna a tutta forza. Ipotesi verificatasi in pieno, purtroppo. Non è lecito, non bisogna, sarebbe addirittura masochistico incolpare i giocatori (a parte certe furie bestiali nei duelli). Il difetto sta nel manico. Perché un uomo come Capello, che tra l'altro è anche il centromediano metodista sognato dal Doktor al suo esordio come «capataz» azzurro, servirebbe in Nazionale solo parlando, neppur giocando. E così dicasi di Giacinto Magno, o di un Graziani che si scalda in panchina per consentire al feroce Saladino di fare a botte, benché abbia già trentun anni e nessuna speranza di rimanere titolare nei prossimi mondiali. E quel già citato Capello coordinerebbe gli estri di Causio e le corse di Furino come fa nella Juventus, mentre questi due ragazzi, privi di collegamenti, si stordiscono da soli sino alla nevrastenia. 
Dovrei parlare solo dei bulgari, che sanno di pallone, che ridono ampiamente, anche se barellati in una «amichevole» così cruenta. Ci hanno beffato con uno 0-0 che ripete quello del '69 a Torino e ribadisce 1'1-1 del '72 a Sofia. Loro sì che sono un «collettivo». Noi siamo una masnada di corsari in mutande, con un direttore unico (ma unico al mondo davvero) che «fa li giochi» e non ne imbrocca mezza. Discutere adesso di tre palloni-gol falliti dai nostri e di uno buttato via dai biancorossoverdi è chiacchiera da caffè. Con questa Nazionale è già molto pareggiare davanti alla Reggiana (e lo si è visto mesi fa). Adios Bernardini. L'altra sera a Bogliasco gli hanno regalato una medaglia d'oro. Ma nel sacco della Befana troverà solo carbone. 
Genova ricorda Monaco e Stoccarda, godono nascostamente persino Mazzola e Rivera. Torna a casa, Lassie: pardon, volevo dire Fuffo. Possiamo capirti, ma non perdonarti.

Giovanni Arpino

La Stampa, 29 dicembre 1974, p. 9
La partita in Cineteca

Il terzino "a sorpresa" ha sbalordito gli inglesi

Le cronache di Monsù
28 novembre 1951

Presentando l'incontro amichevole di Wembley tra Inghilterra e Austria, il giorno della partita, Pozzo aveva battuto più sul tema dell'invincibilità interna degli inglesi che sul significato tecnico della partita. Doveva essere, per gli uomini di calcio del continente, una sorta di ossessione, ("un'ambizione, una meta agognata, un traguardo storico"). E su questo refrain prende l'avvio anche il pezzo dettato 'a caldo', la sera del 28, dopo la partita. Neanche stavolta l'Inghilterra ha perso in casa, e la sconfitta è stata solo sfiorata. Ma alcune considerazioni tattiche di Monsù sono davvero gustose ...

Post scriptum: erano in campo quel pomeriggio, nei due XI, Alf Ramsey (che segnò dal dischetto il primo gol degli inglesi) ed Ernst Happel.


Londra, giovedì sera [28 novembre 1951]
Il giorno in cui l'Inghilterra piegherà finalmente le ginocchia in casa sua davanti all'«invasore», bisognerà proprio far sorgere una lapide a Wembley, a Highbury o dove sarà il caso, per celebrare ed eternare la riuscita di uno sforzo durato parecchi e svariati lustri, e nel corso del quale si ruppero le ossa le migliori rappresentanze del rimanente del mondo. 
L'Austria è giunta questa volta tanto vicino al successo quanto in altre occasioni erano giunte l'Italia, la Jugoslavia e la Francia. Più avanti non ha potuto andare, né in realtà, tutto considerato, meritava di andare, visto il comportamento degl'inglesi. Ma il suo è stato un assalto portato a regola d'arte in tutti i sensi. Un assalto che si è svolto sotto il segno della disciplina tattica più stretta e più severa.  
La squadra austriaca ha condotto la gara secondo il suo sistema più moderno. 
Ha schierato quattro attaccanti, due centro-mediani, di cui il più arretrato era quasi costantemente quello che proveniva dalla prima linea, il Gernhardt, uno sbarramento difensivo composto stabilmente di due mediani laterali e del terzino destro, e dietro a tutto, con compiti vari, il terzino sinistro. Ora, questo schieramento, con tanto parlare che s'era fatto del modo in cui neutralizzarlo, ha funzionato in pieno, per tutta la durata dell'incontro. Non solo, ma ha finito per disturbare il funzionamento del meccanismo inglese, proprio com'era nelle sue intenzioni. 
Gl'inglesi vengono a trovarsi palesemente a disagio, quando si imbattono in qualcuno che non parla lo stesso loro linguaggio tecnico, precisamente come quando devono discutere, nella vita di tutti i giorni, con qualcuno che non parla inglese. Quel terzino che salta fuori all'ultimo momento, allorché hanno superato lo sbarramento difensivo, è per essi una cosa inusitata, e li conturba, e non sanno come fare a tagliarlo fuori. E quel centro mediano che gioca come si giocava una volta, e si piazza nella «zona di nessuno» e prende una quantità di palloni e li ridistribuisce, rappresenta una costruzione della fase d'attacco che li costringe a pensare e a giungere ogni volta in ritardo nel capire. Riescono a colmare anche questi svantaggi, per via della loro superiore capacità tecnica, ma l'imbarazzo sussiste ed è evidente. 
Gl'inglesi hanno, giocato, a detta di tutti, come mai finora in questo dopoguerra. Avrebbero anche vinto se avessero saputo cogliere le occasioni che si sono presentate loro nel corso del primo tempo: ma il caso ha voluto che queste occasioni le abbiano avute proprio i due loro esordienti in nazionale, l'ala e la mezz'ala destra Milton e Broadis. Ma allora si può dire anche che il gioco austriaco sarebbe stato più produttivo se fosse stato meno viennese - cioè praticato più in profondità e meno in linea - e che l'arbitraggio ha avvantaggiato gli inglesi - vedasi la grande differenza nella motivazione dei due rigori - e che il solo punto della giornata su azione manovrata, sono stati gli austriaci ad ottenerlo. L'una cosa compensa e neutralizza l'altra, e il risultato finisce per essere giusto. Ma l'incontro non passa certo alla storia sotto il segno di un insuccesso tattico del gioco austriaco, per il semplice fatto che esso ha detto sul campo quello che aveva in programma di dire.

Che gl'inglesi siano stati presi a un certo momento dalla paura che questo successo giungesse a concretarsi anche nel risultato, lo ha dimostrato il loro tripudio all'istante in cui realizzarono la seconda rete. La manifestazione di gioia a cui i giocatori si abbandonarono sul campo fu cosi esuberante da apparire smodata per dei non latini. Mai visto degl'inglesi perdere compostezza a tal modo. 
Sulle risultanze tecniche di questo incontro e sulla situazione inglese al momento attuale, ci sarà il tempo per ritornare con comodo, ora che il periodo autunnale della stagione internazionale è terminato. Intanto, una cosa si può dire. Ed è che questo incontro londinese è stato denso di contenuto tecnico - lontano le cento miglia da quelle partite in cui, chi vuole scrivere del calcio, e non trova nessun diletto a dir male del prossimo, deve lambiccarsi il cervello e arrampicarsi per pareti lisce, al fine di trovare spunti critici e rilievi meritevoli. Sarò il sollievo di trovarsi infine di fronte a qualche cosa di degno, ma si ha l'impressione che non si finirebbe più di scrivere, dopo un incontro del calibro di quello a cui si è assistito. Questo perché, come già detto, l'Austria ha fatto quello che ha fatto. Ma, essenzialmente, perché l'Inghilterra calcistica ha dimostrato chiaramente, attraverso la prova, che è tutt'altro che finita.

 Billy Wright, l'arbitro scozzese John Mowatt 
e Leopold Gernhardt
La partita: tabellino | video: British Pathé - Luce


Come un esame di riparazione


Bernardini, Facchetti, Zoff, Roggi.
Al Maksimir di Zagabria torna in campo l'Italia, dopo il disastro mondiale. A guidare la ricostruzione (che prevede il pensionamento dei nostri stagionati assi - Mazzola, Riva e Rivera) c'è, come si sa, il Dottor Pedata, alias Fulvio Bernardini. Ispirato e un po' sarcastico, fotografa il momento un grande Giovanni Arpino.


Zagabria, 27 settembre.
Il dottor Bernardini non è Cesare, il fiume Sava non è il Rubicone, ma c'è da saltare lo stesso, sia per il commissario sia per una Nazionale azzurra che tenta, dopo il disastro di Monaco '74, un primo, nuovo passo fuori della culla. Diciamo «una» Nazionale e non «la» Nazionale, perché la squadra messa volonterosamente insieme dal Dottore alias Fuffo è per ora solo l'abbozzo di una «équipe» autoritaria, dotata di precisa fisionomia. L'operazione di ringiovanimento operata dal nuovo C.T., dopo una «setacciata» di quasi sessanta uomini, è frutto di lavagna, d'una coerenza con le idee più che con la pratica. Se dici a Capello: sta indietro, e aggiungi a Benetti: ispira in avanti, è chiaro che il disegno teorico, eseguibile a tavolino, diventa oscuro e fors'anche velleitario sull'erba. E così, durante l'ultimo allenamento della «Nazionale in provetta», la Pistoiese, gagliardamente priva di sudditanza psicologica, mette in crisi il centrocampo azzurro e fa piangere la critica. 
Bernardini dice: e va bbene, accentuando i modi romaneschi, si migliorerà, state a vedere. Ma lui stesso si rende conto che una sconfitta, seppure «amichevole», in questa partita jugoslava, aprirebbe crepe palesi e recondite nei suoi piani di ricostruzione. Una logica, nel procedimento finora adottato dal Dottore, c'è. Però, come succede anche durante numerosi consulti medici, chi esclude che l'operazione riesca e il malato invece muoia? 
Per uno di quei famosi disguidi tattici in cui si manifesta il genio organizzativo della nostra Federcalcio, vedremo i «grandi» azzurri a Zagabria, ma non faremo in tempo a raggiungere i «piccoli» azzurri a Cesena. E questi sono forse più interessanti dei fratelli in età, anche se come complesso appaiono, per ora, un poco analcoolici. Se la Nazionale da inventare, allevare, irrobustire è quella dei ragazzi Antognoni, Guerini, Scirea, perché soffrire sul piedone di Romeo e su alcune assenze [gravi] in quel di Zagabria? Mancano non solo i «divini», cioè Mazzola e Rivera, ma anche i Causio, gli Anastasi, per non dire i Graziani, gente che ci pare indispensabile nelle trame dei nostri possibili Azzurri momentanei. Libero di servo encomio, cioè riscattato dalla sudditanza riveriana, Benetti deve operare quasi da regista. Come se Bud Spencer, anziché distribuire finti cazzottoni, fosse obbligato a recitare l'Amleto. 
Gli jugoslavi sono pur essi inediti. Dopo le buone ma non fastose esibizioni ai mondiali hanno perso uomini approdati in Occidente per far soldi, altri sono o ammalazzati o militari. Tuttavia provengono da una buona scuola, hanno una tradizione dignitosa, talora arcigna, si batteranno. In casa, accentueranno l'abile tendenza a far viaggiare (e tenere) palla, per studiare il corridoio utile. Ora, noi abbiamo un Giacinto Magno che come «libero» ha quasi tutto, in potenza, compresa l'età, e che deve comandare il suo reparto per eliminare disordini: un «libero» che comandi poco è vittima delle confusioni create dai compagni. Davanti a Facchetti ecco Capello, responsabilizzato fino all'ossessione. Dovrà fare il Monti degli Anni Trenta, il Rivera degli Anni Sessanta e il regista degli Anni Ottanta. Questo la dice lunga sullo scarso materiale umano che alberga nei nostri solai. I due margniffoni da gol, cioè Prati e Boninsegna, possono risolvere una partita avendo anche un solo pallone in novanta minuti. 
Ma Bernardini, e noi, e tutti, vogliamo altro. Cioè intravedere un embrione possibile di gioco, un'idea, ancorché gracile, di struttura portante. Del pareggio o vittoria o anche sconfitta ci importa come d'un cavolo a merenda. Davvero? Davvero sì, anche se per i tifosi, che alla lunga condizionano tutto l'ambiente, solo la vittoria, e cioè quel cavolo merendero, conta. 
In prospettiva, all'orizzonte, vediamo il «mucchio selvaggio» di olandesi e polacchi, che ci attendono, nel '74 e nel '75, per offrire una torchiata ai campionati europei. Non sono marziani, ma non è certo «questa» squadra azzurra che potrà affrontarli. Se i nostri baldi eroi in mutande devono acquistare esperienza per il '78 argentino, allora giochi chi ha più «chanches» di volare tra i gauchos, non quelli che tra quattro anni saranno giubilati più o meno felicemente. 
Ma come si fa a parlar di calcio quando c'è di mezzo la Nazionale? Questo è argomento che intriga gli animi e fa fremere persino le nonnine, ignare del «tackle» ma non del prestigio onorario. Tant'è che illustrissimi elzeviristi hanno già composto lacrimosi epitaffi sul Rivera che non c'è più, e che, cosi continuando, diventerà ancora più mitico per assenza che non per presenza. Una sconfitta a Zagabria e state sicuri che suoneranno le solite trombette e i soliti tromboni: arridatece er regista nostro, meglio er cadavere suo che 'sti mastini incapaci de far quadrare la palla ... 
Rimandata brutalmente a ottobre dopo le esangui prove di giugno in Germania, la Nazionale è attesissima. Troppo. Si è già creato quel clima di isterica tensione tifosa che produce solo danni ai muscoli e al sistema nervoso dei giocatori. Bernardini spera in un parto felice, magari col forcipe. Noi non strilleremo se il neonato apparirà flebile. Per riavere una «squadra» è indispensabile un minimo di tempo. E questo tempo comincia oggi. Siamo al primo gradino, non a metà della scala. Chi cerca scandali nel non-gioco all'italiana, pazienti: potrà sfogarsi in campionato. Per ora, vecchi e nuovi azzurri, fate voi. Se vi divertirete sul campo, qualcosa accadrà. Talvolta basta poco prezzemolo per dar profumo all'arrosto riscaldato.

"La Stampa", 28 settembre 1974, p. 19
La partita: tabellino - highlights

Quelle omeriche risate

Il grande Kalusha Bwalya
Ai Giochi Olimpici di Seul, l'Italia si presenta con una squadra ritenuta competitiva dalla critica. Esordisce sotterrando di reti il Guatemala, ma alla seconda partita incappa in una batosta storica, reputata paragonabile a quella subita dalla Corea. Ne scrisse, su La Repubblica, Gianni Brera. Riportiamo il commento, spassoso anzichenò.



I gagliardi Bantù non vengono tutti dallo Zambia, di cui vestono i colori. Lo Zambia ha una superficie che è superiore del doppio a quella dell'Italia e una popolazione che è inferiore a un decimo della nostra. Povero come tutte le ex colonie cinicamente sfruttate per secoli, esso è perfino costretto a esportare pedatori.

Dal canto suo, ricca come nessuno avrebbe mai pensato che potesse diventare un giorno, la spensierata e disinvolta Italia è indotta a importare gente che finalmente la diverta dopo aver sofferto i mercenari impostile dai Signori che ne usurpavano i governi. Nonostante i continui ricorsi all'estero, la presunzione è andata egualmente crescendo qui da noi fra i cultori di uno sport esercitato soprattutto sedendo super gluteos. Qualche buona impresa propiziata in passato dalla ambizione e dalla fortuna induce ancor oggi gli italiani a ritenersi da molto più che in realtà non siano. 

E' però fiero il cronista di aver precisato, nella sua prima nota tele-olimpica, che i pedatori italiani erano come sempre i favoriti di sé medesimi. In verità era sembrato un miracolo che Zoff non avesse mai perduto affrontando piccole e non molto convinte aspiranti al viaggio verso Seul. La fortuna di Zoff non era bastata a convincere tutti sul valore dei suoi grognards. Nello zaino aveva un bastone di maresciallo e per sé lo ha tenuto, passando ad altro esercito. La sua greca ufficiale è stata però conferita al giovane e impetuoso Checco Rocca, soprannominato Kawasaki. Costui ha sacrificato qualche apparente relitto e qualche altro ne ha confermato. Il solo fatto di vestire la maglia azzurra ha piacevolmente convinto i nesci (e non solo quelli) che la squadra ambiguamente varata da Kawasaki dovesse considerarsi fortissima. Da qui, il rilievo scherzoso del cronista nel chiudere la sua prima nota tele-olimpica. Le reni del Guatemala, naturalmente sderenato per nascita, sono state spezzate in senso unicamente figurativo. Tuttavia, i guatemaltechi hanno mortificato due volte la possa truculenta di Tacconi, a suo tempo giustiziere parolibero di Zenga.

Poi, sono arrivati i Bantù. Dannato io sia se un giornale che è uno in tutta Italia ha ritenuto di dover andare oltre l'ovvia considerazione che bisognava battere lo Zambia per qualificarsi! Nessuno ha tenuto conto delle differenti posizioni etiche e morali di due Paesi e dei loro popoli di fronte allo sport. Oggi basterebbe rilevare che i Bantù, poveri in canna, esportano pedatori scelti in Europa e che gli italiani, peraltro illuminati di immenso, importano per miliardi pedatori da tutto il mondo, e di tifare per loro si beano ed esaltano secondo senso della misura. Chi ha seguito la partita fra italioti e Bantù si è dapprima fregato gli occhi, convinto di stravedere, ma ben presto si è dovuto rassegnare ad ammettere le leggi imprescindibili del campo. I nevrili longilinei dello Zambia correvano decisi; gli italianuzzi esitavano, trovandosi costantemente in ritardo di mosse. Chi ha creduto di vedere un certo distacco nei nostri prodi si è banalmente sbagliato: era smaccato ritardo fisico, non distacco morale!

I Bantù dello Zambia hanno segnato allo scadere del primo tempo su assolo di Kalusha Bwalya e sinistro diagonale basso sul quale Tacconi ha steccato in misura inversa alla violenza del tiro. Poi, Tacconi ha clamorosamente rinnovato le dicerie degli antichi romani, secondo i quali tardi erant umbri: non ha neppure capito se una punizione dal limite fosse diretta o su due calci. Si è mal piazzato alle spalle di due sparuti compagni in barriera e il solito Kalusha lo ha uccellato bellissimamente sul primo palo. 

Non basta! L' ineffabile Tacconi, soffocando fra i pali, forse troppo vicini, si è avventurato in avanti e un Bantù che non era Kalusha ha scelto il tempo esatto per sorvolarlo, perpetrando l'inaudito 3-0. Nei recuperi, il magnificente Kalusha si è vendicato di un pestone facendo elegante tripletta personale. L'arbitro inglese Hackett ha avuto modo di convincersi che i pedatori italiani sono maleducati, riottosi e, in fin dei conti, ingenui oltre misura. Sicuramente irritato, non gli ha mai perdonato nulla.

In Italia, i giornali hanno espresso scandalizzato stupore: non già sopra sé medesimi, bensì per il bieco tradimento dei loro favoriti (?). E hanno concluso con salomonica grullaggine che per qualificarsi bisognerà battere l'Iraq.

Il pianto dei dirigenti e dei critici italiani sull'andamento dei Giochi rasenta l'intensità di quello espresso dai greci nelle loro tragedie. Pochissimi si degnano di ammettere che le medaglie di Mosca erano state molte e addirittura troppe le medaglie di Los Angeles per il semplice fatto che nello stadio Lenin e al Coliseum mancava mezzo mondo. A Seul, i Paesi scesi in campo sono ben 160 ed è bastato il fiero ma piccolo popolo Bantù per mettere sotto i nostri calciatori.

Le mie notti avventurate hanno trovato utile sollievo nel volto simpatico e sgherro di un possibile congiunto del più grande romanziere e politico italiano, quel Tommaso Campanella che, pur languendo 28 anni in prigione, trovò modo di scrivere la Civitas Solis. In quel famoso romanzo politico, il frate calabrese deplorava che gli uomini, pur tanto solleciti nel migliorare le razze dei loro animali, non pensassero affatto di correggere le proprie sbolinate linee di sangue.

La Civitas Solis era così geniale ed ottimista da rasentare il candore. Frate Campanella era anche indovino ma forse non ha appreso dagli astri che un suo omonimo diciottenne avrebbe finalmente potuto nutrirsi da agiato europeo e imparar il pugilato come neanche Pindaro a pagamento si sarebbe potuto sognare. Il ragazzino Campanella crotonese come Milone! consola il cronista di ogni sconsiderata nequizia commessa in pedata e lo esime per una volta dal parafrasare ser Francesco Guicciardini. Al quale ha fatto dire ormai da molti anni: 'Che se tu fiderai nelli italiani, sempre avrai delusione'. Ora aspettiamo che i componenti la Lega Calcio mandino a Lusaka, capitale dello Zambia, i loro osservatori particolari. Di certo negli oratori cattolici e protestanti di Lusaka pedatano ragazzi che con due cocomeri ed un peperone si possono tranquillamente assicurare alla pedata italica. Ho già avuto occasione di scrivere, nella mia lunga vita, che la massima invenzione degli italiani deve considerarsi la loro acuta intelligenza. In attesa di una conferma così importante, celebriamo come si merita la ventiquattresima Olimpiade, istituzione quanto altra mai sacra nella storia dell' uomo antico e moderno.

La Repubblica, 20 settembre 1988
Rivedi la partita in Cineteca

Leale battaglia tra due forti squadre

L'ultima coppa del mondo

31 luglio 1966


Una partita che va raccontata partendo dalla fine, risolta da una decisione contestata. Pozzo ha potuto così assistere alla sua ultima finale del campionato del mondo, "il più clamoroso che sia stato mai organizzato", ed è testimone dell'unico successo internazionale conseguito dalla nazionale albionica, dal calcio che (per lui) era quello dei maestri. Quattro anni dopo, in Messico, lui non ci sarà.


Londra, 30 luglio.
L'Inghilterra ha finalmente vinto il suo primo titolo mondiale battendo la Germania per 4 a 2 a Wembley in una drammatica gara di chiusura di un grande torneo, gara decisa soltanto dai tempi supplementari. Emozioni su emozioni, proprio quando nessuno se lo aspettava più. Parliamo prima di tutto della fase terminale dei novanta minuti regolamentari, che ha deciso di ogni cosa
Si era giunti a 13 minuti dalla fine del secondo tempo sull'1 a 1 (reti di Haller ed Hurst) ed ognuno si era già convinto nel suo intimo che si dovesse passare ad un supplemento di gioco per arrivare a una decisione definitiva. Proprio allora invece l'Inghilterra andava in vantaggio in modo più casuale che altro. Un tiro sbagliato di Bobby Charlton provocava un rinvio affrettato del difensore tedesco Schulz; proprio sull'asse del campo e quasi al centro dell'area si trovavano due degli attaccanti inglesi: Peters, l'ala sinistra, era il primo a intervenire e la palla più che venirgli passata da un compagno gli giungeva come per caso nei piedi. Egli avanzava diritto innanzi a sé mentre il pur valoroso portiere Tilkowski non si muoveva dal centro della porta. Peters avanzava ancora e tutto libero come era non aveva difficoltà a far partire un tiro a mezz'altezza che mandava a finire irrimediabilmente la palla nella rete. Faceva due a uno. E rimanevano solo tredici minuti di gioco. 
Fu qui che la squadra della Germania diede prova di un coraggio davvero ammirevole. Invece di abbattersi per l'infortunio subito, la intera compagine si scaraventava in avanti nel disperato tentativo di risalire lo svantaggio. Le maglie bianche dei tedeschi erano scatenate e invadevano l'area di rigore dei loro avversari, come delle furie. Gli inglesi si difendevano con parecchio nervosismo e con alquanta confusione anche. Calci di punizione su calci di punizione, e le occasioni del pareggio giungevano con relativa frequenza. Sulla sinistra dell'attacco Held ed Overath, specialmente il primo, giungevano più di una volta ad um soffio dall'acciuffare il pareggio. Tensione generale e nervosismo giunto al massimo in tutti quanti, spettatori che gridavano, gente che in piedi si agitava urlando. 
Si arrivava cosi all'ultimo minuto del secondo tempo. Jack Charlton, il centromediano inglese, commetteva un fallo sulla sinistra dei tedeschi alcuni metri fuori dell'area di rigore. La punizione veniva ripresa da Emmerich e la palla spioveva alta al centro dell'area. Tiri che rimbalzavano sui difensori, finché la sfera andava a finire a mezzo metro dal lontano montante. Qui due o tre giocatori germanici si precipitavano in avanti assieme al portiere Banks. Due, tre o più ripicchi, e finalmente il terzino Weber che era accorso fin lì anche lui, sospingeva la palla in rete. 
Il fatto e l'intera situazione diventavano di colpo drammatici. Gli inglesi che già erano arciconvinti di avere il successo in tasca si vedevano costretti al pareggio esattamente a un mezzo minuto dalla fine. Essi reclamavano presso l'arbitro, ma il medesimo confermava senz'altro la regolarità del punto. Faceva due a due e bisognava per forza passare ai tempi supplementari. 
I giocatori delle due squadre erano sfiniti. Lo sforzo sostenuto li aveva letteralmente logorati. Alcuni si gettavano a terra, altri cercavano disperatamente qualcosa da bere durante l'intervallo fra ì tempi regolamentari e quelli supplementari. Tutti quanti avrebbero molto volentieri fatto a meno di continuare a giocare per un'altra mezz'ora. 
Quando l'arbitro, che come per pietà aveva concesso un paio di minuti di riposo alle due squadre, dava il segnale della ripresa dei gioco, ognuno si rimboccava le maniche e riprendeva a combattere. Tanto che, dopo alcuni minuti, le azioni diventavano più veloci di prima. E finiva per essere questo il periodo più vivace di tutta la gara. Attivissimo era il più giovane degli inglesi, l'ala destra Ball. Egli non tardava a far partire un gran tiro basso, e il portiere tedesco rispondeva con con una parata di grande classe. Gioco alterno, con minaccia di pericolo per ambo le parti. Si giungeva così all'11' del primo tempo supplementare. 
Era allora che avveniva l'incidente che doveva ufficialmente decidere dell'assegnazione del titolo di campione del mondo, lasciando dietro di sé discussioni tanto accanite quanto oramai inutili. La mezz'ala destra Hurst piombando violentemente sulla palla faceva partire un tiro alto di grande potenza. La palla, malgrado il gran balzo del portiere Tilkowski, andava a picchiare sotto la sbarra trasversale della porta, rimbalzando poi direttamente in campo. Tutti si volgevano allora verso l'arbitro, in attesa della sua decisione. L'arbitro stesso dichiarava a tutta prima che la palla non era entrata in rete, con un gesto vivace che tutti vedevano; ma suscitava così le vivaci reazioni di tre o quattro dei giocatori inglesi che pretendevano che la sfera fosse entrata in rete. Sopravveniva allora uno dei guardalinee, e dopo una piccola confabulazione l'arbitro dichiarava valido il punto. Era la volta allora dei tedeschi di reclamare, ma la decisione era stata oramai definitivamente presa e non c'era più nulla da fare in contrario. 
La Germania ritornava allora all'attacco, nel disperato tentativo di pareggiare ancora. Ma gli inglesi, ormai, si erano chiusi in difesa con quasi tutti gli uomini della loro squadra. Più volte erano in dieci i difensori in maglia rossa. Passavano così i minuti che mancavano al termine del primo dei due tempi supplementari, e poi trascorreva quasi per intero il secondo tempo. E, proprio al momento terminale dell'intera contesa, il capitano degli inglesi Moore, il più intelligente e l'uomo più a posto fra i ventidue che erano in campo, scopriva l'unico suo compagno d'attacco che fosse ancora piazzato in avanti, mentre tutti quanti i germanici erano lanciati alla ricerca di quel pareggio di cui abbiamo detto. Era, quest'unico attaccante che si trovava nell'aspettativa, Hurst, la mezz'ala destra, la quale combinazione in quel momento aveva preso posizione alla mezz'ala sinistra. Hurst riceveva la palla tutto solo e, rincorso da un solo avversario, partiva decisamente all'attacco. Egli penetrava in area e, con un tiro trasversale fortissimo infilava la parte alta della rete dei germanici. Faceva quattro a due, ma bisogna ammettere chiaramente che questa quarta rete non aveva nessuna importanza, anzi essa non sarebbe mai stata segnata se non fosse stata convalidata la terza rete degli inglesi, quella segnata dallo stesso Hurst. 
Abbiamo descritto per prima la parte conclusiva della partita, perché questa è stata l'unica che ha detto qualche cosa di importante nell'incontro, la più emozionante, e quella che ha finito col decidere di ogni cosa. Abbiamo cioè, in senso cronologico del termine, incominciato dalla fine. La cosa era necessaria per il suo andamento. La gara era cominciata con due reti a distanza di cinque minuti l'una dall'altra, proprio nei primi minuti della partita. 
Gli inglesi si sono meritata la vittoria che hanno ottenuto. Più per l'impegno fisico sfoderato che non per vere prodezze tecniche. Di autentiche finezze se ne son viste poche. La posta era troppo importante, forse, perché i giocatori potessero preoccuparsi di cose sopraffine. Non si può affermare né che l'ambiente non abbia influito sul risultato né che l'ambiente stesso sia stato veramente determinante in materia. Che l'Inghilterra abbia essenzialmente riportato il successo perché operava in casa propria è invece una verità che può essere sostenuta. 
L'incontro è stato giocato con molta correttezza. Esso è stato anche arbitrato in modo equanime dall'arbitro svizzero Dienst. Discutibile invero è la sua decisione di convalidazione del terzo punto dei padroni di casa, ma essa è stata presa, in realtà, più su parere di uno dei guardalinee che non a seguito di un giudizio personale suo. E l'affermazione che va fatta in termini chiari è quella che suona a lode del comportamento dell'undici germanico. Esso ha lottato con un coraggio ed una costanza eccezionali. La squadra è caduta in piedi. Non è stata certamente questa la miglior prova che essa abbia fornito nel corso di questo campionato. Ma va tenuto conto e della stanchezza degli uomini e del valore dell'avversario della giornata. Il campionato del mondo, il più clamoroso che sia mai stato organizzato, è terminato, e la popolazione locale ha riservato ai suoi vincitori un applauso ed un ricevimento che più calorosi davvero non potevano essere.

"La Stampa", 31 luglio 1966, p. 8

Tutto il mondo in uno stadio

L'ultima coppa del mondo

30 luglio 1966

E' il giorno della finale, e Pozzo ricorda anzitutto che i tedeschi non hanno mai, nella storia del football, battuto gli inglesi. Mai. Potrebbero farlo nella finale che si gioca a Wembley, in un ambiente euforico ed esaltato come non mai? Sì, potrebbero. Se avessero il coraggio e la forza degli Azzurri del '34 e del '38 ... 


Londra, 29 luglio. 
La più grande competizione sportiva del mondo giunge oggi alla sua conclusione. Si calcola che oltre alle centomila e più persone che saranno presenti allo stadio di Wembley, circa quattrocento milioni di altri sportivi assisteranno, per il tramite della televisione, alla grande finale, circa cinquanta milioni di più di quelle che avevano seguito, con l'aiuto dell'apparecchio, i funerali di Winston Churchill.
Ventisei paesi dell'Europa e dell'Africa del Nord saranno collegati direttamente a Londra, ed inoltre gli Stati Uniti, il Canada e il Messico verranno collegati con Londra a mezzo di un satellite. La parte coreografica dello spettacolo sarà più grandiosa ancora di quella della cerimonia dell'inaugurazione. Sarà nuovamente presente la regina dell'Inghilterra, e quattro bande del reggimenti della Guardia in alta uniforme intratterranno il pubblico in mezzo al campo. Sarà uno spettacolo indimenticabile. 
Se la partita fra le squadre nazionali dell'Inghilterra e della Germania Ovest dovesse definitivamente concludersi con un risultato di parità, l'incontro verrà ripetuto tre giorni dopo, cioè martedì sera alle 19,30 locali equivalenti alle attuali 20,30 nostre. 
I precedenti dell'incontro sono tutti favorevoli all'Inghilterra. Le squadre nazionali dei due Paesi si sono incontrate finora sette volte, e i tedeschi non hanno mai vinto. Un fatto questo che contribuisce a tenere alto il morale degli inglesi. L'ultima volta cha i due contendenti si sono trovati l'uno di fronte all'altro è stato proprio nel febbraio di quest'anno, ancora allo stadio di Wembley. Vinse l'Inghilterra per l a 0, con un goal dell'attuale mediano laterale Stiles. 
Le formazioni in cui Inghilterra e Germania scenderanno in campo non sono ancora state annunciate. Con ogni probabilità esse non verranno rese note prima dell'inizio della partita di domani. Quasi sicuramente fra gli inglesi la famosa mezz'ala Greaves non farà parte della squadra. Fra i tedeschi il portiere Tilkowski sta riprendendosi dal duro e falloso colpo ricevuto dai russi ad una spalla, il terzino Hottges è ora completamente guarito, e Beckenbauer ha evitato per un pelo la squalifica: la squadra dunque finirà per rimanere la medesima di quella presentata nella semifinale di Liverpool.
Arbitro dell'incontro sarà lo svizzero Dienst, conosciuto anche dai nostri sportivi per avere arbitrato incontri a cui ha partecipato la squadra nazionale nostra. Si tratta in linea assoluta del migliore arbitro elvetico. 
Le previsioni sono ora qui favorevoli in maggioranza agli inglesi. Essi hanno giocato le prime partite del torneo in modo appena appena passabile. Il pubblico mormorava e i giornali esprimevano pareri molto riservati. Fu allora che il comitato organizzatore giunse a mostrare la corda col suo intervento. Ora che il fatto appartiene al passato — per quanto questo sia ancora un passato recente — tutti i non britannici sono d'accordo nel ritenere e nel dichiarare che senza l'appoggio ricevuto da chi nel torneo stava molto in alto, l'undici inglese poteva anche crollare. 
La partita con l'Argentina, per esempio, non fu vinta che per la avvenuta espulsione del capitano dei sudamericani, perché questi, insistendo nel richiedere l'intervento di un interprete per spiegare e fare intendere quello che egli voleva dire, finì per essere espulso dall'arbitro austriaco Kreitlein. 
Poi, proprio al penultimo passo del torneo, nella semi finale contro il Portogallo, la «squadra della rosa» improvvisamente si riprese. E allora il compresso amor proprio, il nazionalismo dei britannici esplose in forma quasi violenta. Ora tutti i nativi del paese sono convinti che gli inglesi vinceranno. La pelle dell'orso è stata venduta da tutti quanti prima ancora che l'orso stesso sia stato catturato. Si parla senz'altro già di premi in denaro ai giocatori — mille sterline per ognuno —, di banchetti, di festeggiamenti, di marcia trionfale fino a Buckingham Palace per un ricevimento in casa reale. Che l'Inghilterra, per carità, non venga più ad accusare i sudditi degli altri paesi di perdere la calma, di andare in euforia, di esaltarsi, di impazzire, per un successo in un certame sportivo. 
In attesa, l'undici tedesco tace, come il «leon che guata». Esso sta bene fisicamente e tecnicamente. E' effettivamente forte. E' guidato da un uomo che sa l'affare suo, il commissario Schon. Tace l'undici tedesco, e se moralmente ben guidato dovrebbe trarre dalla situazione dei vantaggi psicologici di una notevole qualità. Esso viene considerato apertamente come già battuto. Viene da pensare alle capacità reattive che possedevano i nostri ragazzi azzurri nel 1934 e nel 1938, per trarre conclusioni sulla potenza psichica e conseguentemente potenza morale che potrebbero essere fatte scaturire da una situazione del genere. Da Bonn sta giungendo a Londra il ministro dello Sport. Se la Germania non vincerà, sarà più che altro l'ambiente che l'avrà battuta.

"La Stampa", 30 luglio, p. 9

La finalina

L'ultima coppa del mondo

29 luglio 1966

La finalina riscuote poco interesse, in quasi tutti i campionato del mondo. Ci arrivano squadre deluse e improvvisamente stanche. Il pubblico è scarso. Di solito non c'è grande attenzione difensiva, la posta in palio è di ridotta importanza. Essendo già a Londra, Pozzo non resiste al richiamo di Wenbley e detta comunque un servizio al suo giornale


Londra, 28 luglio.
Conosciamo la terza, e la quarta classificata dei 'mondiali' (sono, nell'ordine, Portogallo ed Urss che hanno concluso sul 2 a 1 la gara di stasera a Wembley); ed aspettiamo di sapere a chi andrà la Coppa Rimet, in palio sabato, sempre nel maestoso stadio di Londra, fra Germania ed Inghilterra. Stasera, intanto, Eusebio, salendo a quota nove goals ha praticamente vinto il titolo di «cannoniere» dei campionati del mondo. 
Folla inferiore in quantità a quella di martedì scorso, per la partita di questa sera. Innanzi tutto non è In ballo l'Inghilterra e quindi gli inglesi non sono direttamente interessati, e poi si tratta di decidere chi deve occupare il terzo posto e non il primo. Sarà certamente diverso sia il pubblico sia l'entusiasmo generale nel caso di sabato prossimo, quando si disputerà la finalissima. 
Gioco alterno nei primi dieci minuti, con un tiro forte e preciso per ognuna delle due squadre, tiro che impegna direttamente i due portieri. Al 13', quasi inaspettatamente, giunge la prima rete della giornata: calcio di punizione a favore del Portogallo che viene tirato dal terzino Festa; ricevendo la punizione stessa il centromediano Khurstilava alza istintivamente una mano e l'arbitro non ha la minima . incertezza nel concedere la punizione massima. 
Tira Eusebio e segna irresistibilmente. Il giocatore portoghese, come da sua consuetudine, non appena segnato corre a stringere la mano e a consolare il portiere battuto. Poco dopo un altro tiro di Eusebio da buona posizione passa alto sopra la traversa. 
Le manovre sono vivaci, ma non presentano un soverchio interesse dal punto di vista tecnico. La difesa dei portoghesi commette più di un errore, particolarmente Festa mette par due volte in imbarazzo il proprio portiere portandogli via la palla dalle mani all'ultimo istante. Un minuto prima del riposo di metà tempo, la Russia realizza la rete del pareggio. Metreveli dall'ala destra spara direttamente ed a mezz'altezza sul portiere. Prima che Pereira possa, come era effettivamente facile, intervenire ed allontanare il pericolo, il terzino destro già nominato, Festa, arriva disordinatamente ed impetuosamente sulla palla e la spinge verso la rete. 
Sulla sfera piombano più uomini delle due squadre e risulta molto controverso il fatto di chi abbia toccato per ultimo la palla prima che essa abbia varcato la linea della porta. A noi è sembrata un'autorete comunque del difensore portoghese. Sono in parecchi invece a sostenere che la palla sia stata spedita definitivamente in porta dall'attaccante russo Malafeev. 
Durante l'intervallo la folla applaude molto di più le due bande militari che compiono evoluzioni sul campo di quanto non abbia fatto a proposito dei giocatori delle due squadre. Alla ripresa il Portogallo dà finalmente prova di maggiore intraprendenza ed inizialmente arriva anche a dominare minacciando più volte la porta difesa dal grande Yashin. Presto però l'andamento del gioco riprende il suo tono quasi noioso e monotono. I portoghesi appaiono molto più lenti del loro avversari e giocano molto meno incisivamente di quanto non abbiano fatto martedì scorso contro l'Inghilterra. 
Il gioco si ravviva di qualche poco verso la metà del tempo, ed il portiere Pereira uscendo precipitosamente ferisce il centroavanti sovietico Banishevsky, il quale deve abbandonare il campo, rientrando però sul terreno di gioco dopo un paio di minuti. Le due squadre si fanno più veloci ed intraprendenti a mano a mano che ci si avvicina al termine della partita e dopo parecchie azioni di nessuna importanza a metà campo, a 3 minuti dal termine della contesa i portoghesi riescono a segnare. Dopo uno scambio alquanto rapido, avvenuto con la sua ala destra, la quale si era portata in posizione di ala sinistra, Torres rimasto in possesso della palla con una secca puntata riesce a mandare la sua squadra in vantaggio. 
Il gioco procede con la supremazia dei portoghesi per i due o tre minuti che mancano ancora al termine della contesa. Nessun cambiamento sopravviene più e quindi il terzo posto nella classifica generale di questo campionato del mondo viene occupato ufficialmente e definitivamente dal Portogallo. L'Unione Sovietica rimane quarta. 
Come osservazioni generali sull'andamento della partita, si può ripetere che essa è stata notevolmente inferiore in qualità all'ultima semifinale, quella svoltasi sullo stesso campo di Wembley fra l'Inghilterra ed il Portogallo. Si trattava, questa sera, di due squadre evidentemente stanche per le fatiche sostenute e un risultato di parità sarebbe stato forse più giusto di quello che si è dovuto registrare. La squadra del Portogallo non era più la medesima; essa non ha riprodotto la sua forma smagliante che negli ultimi minuti della partita, quando è riuscita ad andare in vantaggio.

"La Stampa", 29 luglio 1966, p. 9

Il soffice prato di Wembley

L'ultima coppa del mondo

28 luglio 1966

Ormai la coppa sta per arrivare in fondo alla sua storia; gli inglesi sono in finale e Pozzo (un po' divertito, un po' infastidito, un po' ammirato) fissa tre punti: l'improvviso mutamento d'umore dell'opinione pubblica, del civis britannicus dopo la vittoriosa semifinale; i vantaggi di cui l'undici albionico gode giocando sempre a Wembley - sul morbido pitch che taglia le gambe a chi non ci è abituato; l'indiscutibile classe di Bobby Charlton.

Londra, 27 luglio. 
I giornali inglesi hanno cambiato tono. Tutti quanti. Sono scomparse le critiche alla squadra nazionale del Paese e al suo commissario tecnico Ramsey. E' bastato che i giocatori dell'undici dell'Inghilterra svolgessero una partita convincente contro il Portogallo - e questa l'hanno giocata realmente bene - per far esplodere tutti quanti in un urlo di entusiasmo irrefrenabile. Una cosa incredibile. 
Noi in Italia incolpiamo senz'altro di nazionalismo spinto - e riusciamo anche a convertire il patriottismo in un delitto - chi prodiga delle lodi sperticate ai giocatori nostri che hanno vinto una partita. Bisogna vedere qui cosa è successo. I giornalisti londinesi sono al proposito i più colpevoli di tutti nel Paese. Quelli delle città lontane e della provincia sono più misurati e contenuti. Ma questi della capitale, nella smania di superarsi l'un l'altro, sono addirittura spudorati. 
La squadra nazionale inglese, che veniva prima apertamente discussa, è salita adesso, tutto di un colpo, al settimo cielo. Il centro mediano Jack Charlton, che è un buon giocatore e nulla più, è diventato il «migliore e il più completo della terra». Esagerazioni su esagerazioni. E risulta perfettamente inutile discutere con questa gente per indurla a non allontanarsi troppo dalla ragionevolezza. Il «civis britannicus» in questioni del genere ha sempre ragione lui, il suo Paese è superiore a tutto e a tutti. 
Il fatto positivo è che l'undici inglese questa volta ha fatto un passo in avanti come stile, come rendimento, come efficienza, come gioco in genere. Si può almeno dare ragione a questa gente quando sostiene che una volta che la sua squadra viene posta di fronte ad un undici che gioca con correttezza e lealtà, una volta che non abbia a misurarsi con avversari privi di scrupoli, il suo modo di comportarsi si trasforma. 
Trasportati sul terreno puramente tecnico, i giocatori inglesi acquistano subito notevolmente in efficienza e in potenza. E' quello che è avvenuto questa volta. Perché i portoghesi sono stati proprio di una correttezza esemplare. Hanno giocato esclusivamente sulla palla, rispettando l'uomo. Ed Eusebio, il colored man del Mozambico, questo ragazzo che viene dalle colonie, tiene un comportamento che il più corretto dei figli di papà inglese, che abbia studiato ad Oxford o a Cambridge, non arriva a tenere. Con uomini di tanta distinzione non c'è da meravigliarsi se il gioco migliora naturalmente e istantaneamente di qualità. 
D'altra parte non va dimenticata la natura speciale del terreno di Wembley. Esso è tenuto in modo esemplare. E' soffice, arriva quasi ad essere allentato e sfondante. Noi ci siamo stati su più di una volta e lo conosciamo bene. Chi non è abituato è spesso soggetto a dolori alle gambe nel corso del secondo tempo, se non addirittura soggetto a crampi. Mentre i portoghesi, per il sole che la fa da padrone in casa loro, sono abituati a terreni più duri e consistenti, gli inglesi, che non si sono mai mossi da Wembley, dove hanno disputato tutte e cinque le loro partite del torneo, vengono a trovarsi avvantaggiati. 
Il grande uomo dell'Inghilterra è stato questa volta - cioè ancora una volta - Bob Charlton, l'attaccante enciclopedico del Manchester United. Sue sono state le due reti che hanno dato la vittoria all'Inghilterra: l'una ispirata da accortezza e precisione, l'altra tutta materiata da una potenza formidabile. Per noi, ripetiamo, ieri un pareggio fra le due semifinaliste sarebbe stato la cosa più giusta. Ma con uomini di simile calibro dobbiamo classificare la vittoria dell'Inghilterra fra i risultati equi e meritati di questo torneo.

"La Stampa", 28 luglio 1966, p. 8

Una bella e corretta semifinale

L'ultima coppa del mondo

27 luglio 1966

E così, anche Monsù Poss è riuscito a godersi finalmente una bella partita ...


Londra, 26 luglio. 
La partita che secondo noi meritava pienamente il titolo di finale del torneo per le particolari caratteristiche dei suoi protagonisti, cioè Inghilterra e Portogallo, si è svolta questa sera allo stadio di Wembley davanti a circa 100 mila persone. Un buon terzo del pubblico era composto da stranieri, coalizzati tutti contro l'undici locale, come per una specie di rivincita sui favoritismi di cui sono stati oggetto finora gli inglesi da parte del comitato organizzatore. 
Bisogna dire subito che lo spettacolo offerto da questa semifinale è stato di qualità elevata. A parte il lato coreografico dello spettacolo stesso, ravvivato dai canti e dalle invocazioni del pubblico, nonché dalle esibizioni della solita banda militare della guardia in grande uniforme, il gioco in sé è stato di un tipo superiore a quello che si era visto finora a Wembley. 
E' stato, innanzi tutto, molto più corretto dei precedenti. In tutti i primi quarantacinque minuti, l'arbitro — il francese Schwinte, che per il suo arbitraggio è noto anche in Italia — non ha avuto da fischiare che due soli falli in tutto. Contrariamente al solito, nessun richiamo ai giocatori, nessuna ammonizione. Gioco essenzialmente basato sulla tecnica da entrambe le parti, non più sulla forza bruta dei giocatori, come a Liverpool nella semifinale del giorno precedente fra Russia e Germania.
L'Inghilterra, col suo tipo di schieramento a 4-3-3, dava prova di una velocità superiore, cercando di operare essenzialmente in profondità. Ma i portoghesi, che con le loro azioni a passaggi brevi si trovavano con relativa facilità, lasciavano l'impressione di essere più tecnici e il solo appunto che si può loro muovere è quello di aver giocato troppo in linea, invece che in profondità. Essi mancavano di Vicente e di Morais, due dei loro difensori migliori, ma davano prova di grande mobilità, nonché di una precisione assoluta nella manovra fra uomo e uomo. 
Questo primo tempo avrebbe dovuto logicamente terminare con un risultato di parità. E così sarebbe realmente avvenuto se non fosse stato per una difettosa parata del portiere portoghese, che pur costituisce solitamente un'autentica rocca per la difesa dei lusitani. Pereira, parando un tiro fortissimo di Hunt, non respingeva la palla che per alcuni metri davanti a sé, di modo che fu la cosa più facile di questo mondo per il sopravvenuto Bob Charlton quella di sospingere la palla nella rete. 
Il secondo tempo merita per la correttezza lo stesso titolo di distinzione del primo. Pochi, pochissimi falli e nessun gesto di vera cattiveria. Questa semifinale, sotto l'aspetto della lealtà del gioco, riabilita il nome del torneo. 
La ripresa ha avuto tre fasi distinte. Nella prima di esse il Portogallo ha prodotto il suo sforzo più intenso, dominando territorialmente per circa un quarto d'ora, senza riuscire però a imporsi definitivamente La difesa inglese era chiusa e ferma in modo inesorabile. Da notare che proprio in questo periodo il mediano laterale inglese Stiles commise un fallo di mano che l'arbitro francese Schwinte fece bene a non punire con un rigore per la totale involontarietà dell'atto. 
Poi, nella seconda fase di questa ripresa, gli inglesi, rompendo il lungo assedio in cui erano stati tenuti, riuscivano ad avanzare e, sostenuti dal calorosissimo incoraggiamento del pubblico, portavano tutta una serie di attacchi aperti e disinvolti. Su uno di essi, al 35° i padroni di casa segnavano la loro seconda rete a mezzo di un tiro meraviglioso per potenza e precisione di Bobby Charlton. Infine, nella terza ed ultima parte dell'incontro, i portoghesi ritornavano all'attacco, e due minuti dopo aver subito il secondo goal essi ottenevano il premio della loro tenacia a mezzo di un rigore concesso per un fallo di Jack Charlton, che si era servito di una mano per deviare un tiro degli ospiti che stava per violare la rete inglese, mentre il portiere appariva nettamente battuto. Naturalmente a realizzare la massima punizione in questa occasione era il solito Eusebio. 
Questa partita va considerata come giusta nel suo risultato. Un pareggio avrebbe tuttavia fornito all'incontro un esito forse più giusto ancora, perché il Portogallo ha offerto una prova forse leggermente inferiore di valore a quelle prodotte finora, ma egualmente una prova di alta levatura. Proprio sul termine della partita i lusitani hanno rischiato di ottenere il pareggio a mezzo della loro ala sinistra Simoes. 
Questa gara è stata come bellezza, come combattività e specialmente come correttezza quella che ha salvato le sorti del torneo, bisogna ripetere. Come dirittura di comportamento essa è stata la migliore delle trenta che si sono finora disputate. 
Le quotazioni dell'undici inglese sono salite di molto dopo questa vittoria. Il successo, del resto, è giunto in tempo anche per attenuare le colpe del commissario tecnico inglese, Ramsey, che il giorno prima era stato ufficialmente e duramente ammonito dal comitato organizzatore per aver definito i giocatori della squadra argentina col titolo di «animali».

"La Stampa", 27 luglio, p. 8

Polemiche arbitrali

L'ultima coppa del mondo

26 luglio 1966

A Liverpool per vedere la semifinale tra sovietici e tedeschi, Pozzo scrive di ciò che ha annusato o che semplicemente sa: il torneo è indirizzato. Gli arbitraggi dei quarti hanno destato polemiche. Ma il peggio deve ancora venire ...

Liverpool, 25 luglio. 
Che in questo campionato del mondo avvengano delle cose che lasciano alquanto interdetta la persona che avendo vissuto a lungo nell'ambiente tiene gli occhi aperti anche sui fatti che paiono meno interessanti, non costituisce una novità. Noi lo abbiamo accennato in qualcuno dei nostri servizi precedenti. Qui bisogna guardarsi bene dal fare troppo rumore con notizie sensazionali, per non venire definiti come «scandalmongers», cioè «mercanti di scandali». Ma pure in tono cauto e pacato, certe impressioni, certe verità bisogna pur dirle, se si deve servire con onestà la causa del grande pubblico. 
Abbiamo scritto ieri che l'espulsione del giocatore argentino Rattin nella partita di Wembley con l'Inghilterra era parsa a tanta gente come un gesto di una severità eccessiva. Il Rattin si era avvicinato all'arbitro per richiamare la sua attenzione su alcuni fatti nella sua veste di capitano, e per questo aveva accennato alla fascia di comando che portava al braccio. Il Rattin domandava la presenza di un interprete per spiegare le sue ragioni. Come risposta egli fu espulso dal campo. L'arbitro austriaco [sic: in realtà tedesco] venne salvato poi dalla polizia alla fine dell'incontro. Ma l'impressione che negli avvenimenti di Wembley ci fosse qualche cosa di artificioso e di non facilmente spiegabile rimase in parecchie delle persone presenti. 
Poi vennero presi gravi provvedimenti contro tre giocatori argentini, cioè Rattin, Onega e Ferreira, ed una multa di 83 lire sterline (oltre un milione e 400 mila lire) alla Federazione argentina insieme alla minaccia di esclusione dai campionati del mondo del 1970 se certe assicurazioni non verranno date. Ora quello che è successo in seguito riconferma proprio queste impressioni. A non parlare del fatto, che torna strano, che a dirigere la partita dell'Inghilterra sia stato mandato proprio l'arbitro austriaco che aveva fatto espellere già prima un altro giocatore argentino, mentre a dirigere la partita della Germania era stato mandato un inglese. 
L'arbitro italiano Lo Bello ha arbitrato stasera la prima delle due semifinali, quella di Liverpool fra la Germania e la Russia. Ed il fatto è stato interpretato da molti come un contentino dato al siciliano, per mettere a tacere ogni sua aspirazione a dirigere la finale del torneo. Perché il Lo Bello si è portato bene finora, e tale onore se lo sarebbe meritato pienamente. Lo abbiamo già detto e lo ripetiamo: dove non arriva il denaro l'ambizione arriva certamente, e fra gli arbitri qui presenti che sono i più noti del mondo, tutta una piccola lotta subacquea si combatte ora per arrivare al grande onore di dirigere la finale del campionato del mondo. Un austriaco [sic: in realtà tedesco], Kreitlein, ed un ungherese, Zsolt, paiono essere i candidati preferiti. In quale stato di mente questi due arbitri od altri ancora entreranno in campo nella finale se ad essa parteciperà l'Inghilterra? 
Il Comitato organizzatore poi, quando ha visto il grande ricupero effettuato dal Portogallo nella gara dei quarti di finale contro la Corea del Nord, si è spaventato ed ha addirittura invertito la data delle due semifinali, da lunedì a martedì, lasciando così un giorno di più di riposo alla squadra inglese, ed ha anche spostato la sede della seconda semifinale da Liverpool a Wembley per far giocare gli inglesi stessi sul campo che non hanno mai abbandonato durante tutto il torneo. Il fatto ha provocato vivaci e risentite reazioni nell'ambiente nordico dell'Inghilterra che voleva vedere all'opera la Nazionale del Paese almeno una volta, ed un giornale di Liverpool — il «Liverpool Echo» — si è fatta eco, proprio come dice il suo nome, delle vivacissime proteste del pubblico della città e della vicina Manchester.
Noi siamo molto rispettosi del senso di dirittura e di onestà degli inglesi. Ma sappiamo pure che leali e schietti essi lo sono fino al momento in cui gli interessi del loro Paese non vengono a essere in contrasto con quelli di altri. Ricordiamo fin dagli anni in cui eravamo studenti quassù, una frase scultorea che nel consesso massimo del Paese era stata pronunciata dal «premier» Gladstone: « My country, right or wrong, but my country » («Il mio Paese, abbia esso ragione o torto, ma innanzitutto il mio Paese»).

"La Stampa", 26 luglio 1966, p. 8

All'insegna della violenza

L'ultima coppa del mondo

25 luglio 1966


Dopo alcuni giorni di sciopero, il quotidiano torinese torna in edicola. Si sono appena disputati i quarti di finale; Pozzo è andato a Sheffield, per Germania - Uruguay. Ugualmente, commenta il turno (è il pezzo che riproduciamo per primo), criticando fra le righe il comportamento degli organizzatori. Ma sottolineando l'uscita dalla coppa - per attitudini non ortodosse - di tutte le sudamericane.


Sheffield, lunedì mattina. 

Così, dopo una lotta sempre più dura e accanita — una lotta che ha varcato spesso anche i limiti della correttezza — le quattro squadre che sono giunte alla fase delle semifinali sono quelle dell'Inghilterra, del Portogallo, della Germania Ovest e dell'Unione Sovietica. 
Eliminate sono tutte le squadre non europee: le due sudamericane e la unica asiatica. Una grossa sorpresa è stata la resa dell'Ungheria. La lotta è stata dura su tutta la linea, anche dove il risultato non lo lascerebbe supporre. Le quattro reti segnate dalla Germania dell'Ovest sull'Uruguay non sono state il frutto di una superiorità schiacciante, ma innanzi tutto la conseguenza del fatto che la squadra tedesca ha lottato per quasi intero il secondo tempo della partita con undici uomini contro nove soli, in quanto ai sudamericani sono stati espulsi Troche e Silva. 
L'incontro dall'esito più clamoroso è stato quello che ha visto ben otto reti segnate nei novanta minuti, quello del Portogallo che ha eseguito una rimonta che rimarrà epica nella storia del calcio internazionale. Il Portogallo stesso, dopo essere stato in svantaggio per tre reti a zero a opera della Corea, con un recupero prodigioso ha finito per vincere per 5 a 3. 
E l'Ungheria è stata compromessa presto da un errore del suo portiere, quando già aveva dovuto sostituire parecchi giocatori, chiamandone da Budapest anche uno dei ventidue che aveva lasciato a casa a disposizione nell'attesa. E l'Inghilterra, che anche questa volta ha giocato male, non ha riportato il successo che per una striminzita rete, che è stata segnata nel secondo tempo, a tredici minuti dalla fine, quando gli argentini erano stati ridotti a dieci uomini soli, anche qui per una espulsione, quella del centromediano Rattin. Le espulsioni, come si vede, hanno preso tutte quante di mira i sudamericani, che non amando le marcature strette cercano di liberarsi delle medesime anche ricorrendo alla violenza o a gesti irritanti. 
L' eliminazione dell' Uruguay dal torneo ha messo senz'altro fine alla serie delle squadre che, avendo precedentemente vinto due volte il campionato del mondo, avrebbero potuto questa volta entrare definitivamente in possesso della Coppa Rimet. Sotto la forma di una possibilità per l'avvenire, il fatto rappresenta anche una piccola consolazione per l'Italia. Mal comune mezzo gaudio. 
Il fatto che maggiormente ha impressionato in questi quarti di finale è stato determinato dalla forza di recupero sfoderata dall'undici del Portogallo. Eusebio, il suo centravanti, ha da solo colmato con quattro reti — di cui due su rigore — il distacco in cui era incorsa la sua squadra all'inizio della partita. Il centravanti del Benflca, che già aveva segnato altre tre volte precedentemente nel torneo, è diventato ora il cannoniere capo di tutta la manifestazione. La mezz'ala inglese Greaves — che ieri è stata tenuta a riposo per una ferita — non ha ancora segnato nemmeno una volta. 
A proposito del Portogallo e dei suoi quattro uomini del Mozambico — Eusebio, Coluna, Hilario e Vicente, due attaccanti o quasi, e due difensori — che tutti temono e nessuno vorrebbe incontrare, toccherà proprio ora all'Inghilterra di contrastarne la marcia nella seconda semifinale, quella di Wembley. 
Torna opportuno a questo proposito di ricordare qui i commenti che negli ambienti ufficiali ma non britannici, si fanno sulle decisioni del comitato organizzatore che, allo scopo di assecondare la marcia della squadra dell'Inghilterra, ha capovolto l'ordine delle due semifinali. Il presidente della federazione brasiliana dello sport, De Havelange, ha dichiarato che l'Inghilterra viene favorita in tutti i modi possibili. Una prova del fatto è stata data appunto proprio ora. Il regolamento stabiliva che la vincitrice del primo quarto di finale si incontrasse con la vincitrice del terzo, lunedì a Liverpool. Invece, il comitato ha preso d'urgenza il provvedimento di far giocare prima a Liverpool la Germania dell'Ovest contro l'Unione Sovietica, rimandando l'Inghilterra a giocare a Wembley contro il Portogallo il giorno dopo martedì. Così gli inglesi godranno di un giorno in più di riposo prima di affrontare la difficilissima semifinale, e potranno ancora per la quinta volta consecutiva giocare sul loro terreno, quello di Wembley.

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Sheffield, lunedì mattina.
La partita alla quale abbiamo assistito a Sheffield sabato scorso è stata bella e brutta nello stesso tempo. Si trattava di uno dei quattro incontri dei quarti di finale del torneo, ed esso ha assunto prevalentemente il carattere di un combattimento. Ha vinto la Germania dell'Ovest, qualificandosi per le semifinali del torneo. Il risultato di quattro reti a zero enfatizza la superiorità dell'undici tedesco, perché nel secondo tempo della partita due dei giocatori dell'Uruguay sono stati espulsi dal campo. L'arbitro inglese Finney è stato inesorabile in ambo i casi. La prima espulsione è avvenuta pochi minuti dopo l'inizio del secondo tempo, ed essa ha colpito il terzino uruguayano Troche, che aveva sferrato un pugno all'ala sinistra germanica Emmerich. Il secondo espulso è stato il centroavanti Silva, il quale, mentre la palla era lontana parecchio, aveva proditoriamente aggredito Haller. L'arbitro non aveva notato il secondo fallo, ma, interpellato il guardalinee che aveva visto tutto, non aveva esitato un istante a prendere il provvedimento punitivo. 
Evidentemente erano le istruzioni impartite dal comitato organizzatore che facevano sentire il loro effetto. Perché già precedentemente, cioè fin dal primo tempo, si era saputo che a Wembley era stato espulso Rattin, il centromediano dell'Argentina. E prima ancora, Stiles, il mediano laterale dell'Inghilterra, era stato minacciato di severi provvedimenti. 
L'Uruguay, che aveva cominciato la partita in un modo più che promettente, addirittura sfolgorante, ha dimostrato col suo comportamento che aveva perso completamente la testa. Come squadra, i sudamericani si portavano bene, e fruivano anche di una certa superiorità. Era di fronte al gioco positivo e bene inquadrato dei tedeschi, che il sistema nervoso degli uomini di Montevideo crollava in modo tanto palese quanto insulso. Falli su falli, entrate violente su entrate violente. E così la ragione rimaneva a chi conservava maggiormente la calma. 
I primi dieci minuti di gioco erano stati favorevoli ai sudamericani, che avevano sferrato con Cortes e con Rocha due o tre tiri da lontano pericolosissimi. Particolarmente sul primo dì essi il portiere germanico aveva compiuto una parata che aveva assolutamente del miracoloso. Poi, proprio al termine di questo periodo iniziale, la Germania era andata in vantaggio. Azione di Haller, tiro di Held, leggera deviazione di un terzino e palla bassa che finiva in un angolo della rete dei sudamericani. Poco dopo era il portiere' dell'Uruguay che doveva prodursi in una grande parata su tiro di Beckenbauer. A metà tempo, 1 a 0 per la Germania.
La ripresa era incominciata da poco, quando avveniva la prima espulsione, quella del terzino Troche. E allora le cose precipitavano per l'Uruguay. Veniva espulso anche l'attaccante Silva, e una scenata avveniva sulla linea del gioco con l'intervento della polizia inglese. Segnava Beckenbauer, su passaggio di Seeler. Poi realizzava ancora Seeler stesso alla mezz'ora, e chiudeva la serie Haller con un'azione isolata e individuale, dopo che Hemmerich aveva rischiato di segnare anche lui. Ridotti a nove uomini soli, gli uruguayani continuavano a combattere strenuamente fino al termine, rischiando più di una volta di diminuire le distanze. I nervi sono la causa principale del crollo dei sudamericani, che in quanto a gioco puro non sono stati affatto inferiori ai loro avversari. Sugli scudi per questi ultimi i due giovani e nuovi elementi, Held e Beckenbauer.

"Stampa Sera", 25-26 luglio 1966, p. 8

Verso la battaglia di Sheffield

L'ultima coppa del mondo

22 luglio 1966


Fuori corsa "un lotto impressionante di compagini", tra cui Italia e Brasile, incombono i quarti di finale. Pozzo si sbilancia e azzarda pronostici. Ma ne offre solo tre: sull'Inghilterra preferisce non pronunciarsi. Sembrerebbe, tuttavia, che nutri una certa simpatia per la Germania ...


Birmingham, 21 luglio.

Dopo le partite disputate mercoledì scorso le squadre che rimangono a combattere per il campionato del mondo da sedici che erano si sono ridotte ad otto. Eliminati sono: il Brasile, la Spagna, la Svizzera, la Bulgaria, la Francia, il Messico, il Cile e l'Italia. Un lotto imponente di compagini, come si vede. 
Ora i quarti di finale vedono l'Inghilterra affrontare l'Argentina a Wembley, la Germania dell'Ovest incontrare l'Uruguay a Sheffield, il Portogallo vedersela con la Corea del Nord a Liverpool, e la Russia misurare i ferri con l'Ungheria a Sunderland. Quattro incontri dei quali i più interessanti dovrebbero essere il secondo e il primo nell'ordine, perché la Corea del Nord, pur progredendo tecnicamente ad ogni incontro che disputa, non dovrebbe turbare notevolmente le condizioni di superiorità del Portogallo, e l'Ungheria dovrebbe essere in grado di battere senz'altro l'Unione Sovietica. 
Sono le due squadre sudamericane che possono portare un attacco pericoloso alquanto alla Germania dell'Ovest e all'Inghilterra. Si tratterà, a Sheffield ed a Wembley, del confronto fra due stili diversi, due maniere differenti di giocare. Gli argentini e gli uruguaiani, da quei tipici sudamericani che sono, possiedono un controllo e un comando della palla che gli europei proprio non hanno. Ne fanno, della palla, assolutamente quello che vogliono, da fermi o in corsa, correndo o saltando. Certe loro prodezze possono venir considerate come gesti da giocolieri o come tocchi da artista, come si vuole; ma qualcuno di essi riesce a scombussolare nettamente l'avversario. Ne ha fatto l'esperienza l'Inghilterra stessa nella prima partita che ha disputato nel torneo, quella contro l'Uruguay. Ora l'Inghilterra stessa avrà a che fare contro altri sudamericani, gli argentini. Ciò sempre a Wembley, sede generale del gioco inglese. 
Ma noi pensiamo che la battaglia più importante sia quella che si combatterà a Sheffield. Eravamo qui a Birmingham mercoledì e abbiamo assistito ad un incontro di una bellezza rara fra la Germania dell'Ovest e la Spagna. 
Il commissario tecnico spagnolo, come in un gesto di irritazione per il gioco privo di efficienza che aveva svolto la sua squadra fino a quel momento, aveva tolto di squadra, quasi violentemente, tutti e tre gli «italiani» che aveva richiamato in patria, cioè Suarez, Del Sol e Peiró. Aveva lasciato a riposo anche il famoso velocista Gento, l'ala sinistra. E, come in risposta, la Germania aveva tenuto lontano dall'incontro l'altro elemento immigrato in Italia, Haller del Bologna. Quest'ultimo è venuto a sedersi proprio dietro di noi in tribuna, durante la partita. A rappresentare indirettamente il calcio italiano era rimasto puramente il milanista Schnellinger. 
Le due squadre, così modificate, si sono data una battaglia epica. Gli spagnoli hanno sfoderato la loro antica «furia», quella che noi tanto bene conosciamo, con una velocità di azioni, uno spirito d'improvvisazione e un senso pratico del gioco di profondità che ha entusiasmato il numeroso pubblico. Erano presenti più di cinquantacinquemila spettatori. C'era, in quell'undici spagnolo composto per metà da cosiddette riserve, quella combattività, quell'agonismo che erano stati dolorosamente assenti dall'opera degli italiani nelle tre partite che essi hanno disputato nell'Inghilterra del Nord. Ed i germanici sono stati tenuti a bada per lungo tempo, anzi sono andati in svantaggio ad un certo punto del primo tempo per un pallonetto della mezz'ala sinistra spagnola, un vero tocco da artista. 
Poi, il pareggio è venuto verso il termine del primo tempo stesso, su di una legnata semplicemente formidabile dell'ala sinistra Emmerich, il capo cannoniere della Germania che era stato escluso fino a quel momento dalla squadra per essere fuori forma. La vittoria venne ad arridere ai tedeschi proprio negli ultimi minuti della partita su di una deviazione da pochi passi di Seeler, il giocatore di Amburgo che tante società italiane avevano mesi addietro corteggiato. Quella della Germania è sempre una gran bella squadra. Germania-Uruguay a Sheffield è per noi la partita più interessante delle quattro di sabato prossimo. 
La questione della conquista definitiva della Coppa Rimet pare ora definitivamente rinviata ad altra occasione. Tre squadre avendo vinto due volte il torneo erano in lizza per questa conquista: il Brasile, l'Italia e l'Uruguay. Due - il Brasile e l'Italia - si sono fatte eliminare. Rimangono gli uruguaiani. E questi dovrebbero uscire sconfitti dalla prova che li attende contro la Germania dell'Ovest. Si tratta di una piccola consolazione per gli azzurri della prossima generazione, che potranno così ancora sperare di completare l'opera che questa volta è fallita.

"La Stampa", 22 luglio 1966, p. 9

Molti 'perché' senza risposta

L'ultima coppa del mondo

21 luglio 1966

Con toni amari (e sarcastici nella chiusa), Pozzo ricorda (giustamente) di essere stato uno dei pochi che avevano lanciato segnali d'allarme in tempo utile. Rimangono ora e ancora senza risposta le domande sulla conduzione, la formazione, l'atteggiamento della squadra in campo. 

Middlesbrough, 20 luglio. 
Il crollo della nostra squadra ha colpito tutti gli italiani presenti — e beninteso anche coloro che, non italiani, credevano nel valore degli azzurri —, è stato come un colpo di fulmine. Noi diciamo, come prima cosa, che ci vuole un po' di coraggio per dichiararsi sorpresi da quanto avvenuto. Noi, fin da quando la squadra arrivò in Danimarca — non ancora in Inghilterra, cioè — abbiamo dichiarato subito, e lo scrivemmo anche in chiari termini, che l'undici nostro non aveva giocato come al solito. Il gioco fluido e convincente, svolto in tre delle quattro partite, qui in Inghilterra non c'era più, è stato un'ombra di quello svolto in quelle circostanze. Il gioco stesso non è venuto mai alla ribalta. 
E' una cosa, questa, che hanno visto tutti. Molti hanno anche approfittato del fatto per riprendere apertamente i motivi polemici che avevano già sviluppato in Italia. Ma, nella possibilità di qualificarsi per i quarti di finale, quasi tutti hanno continuato a credere, magari anche fermamente. Noi guardavamo agli avvenimenti, e più si andava avanti e più si radicava in noi la convinzione che, se non avveniva un cambiamento nel modo di funzionare della squadra, si sarebbe finiti male. Sono cose, queste, che non diciamo ora, ma che abbiamo scritto in caratteri chiari e da Copenaghen, subito dopo l'ultima partita di preparazione, e da Sunderland dopo il primo incontro ufficiale del torneo, quello contro il Cile. E le nostre considerazioni pessimistiche le abbiamo confermate a seguito della gara perduta con l'Unione Sovietica. 
Ora il disastro si è verificato. La squadra ha perso, il pubblico si e schierato tutto dalla parte dell'avversario nostro, deridendoci anche. E la nostra è la compagine più commiserata di tutte quelle che sono convenute in Inghilterra. Qualcuno qui cerca di trovare consolazione pensando al modo come sono andate le cose per il Brasile, che veniva considerato come vincitore assoluto del campionato. Qualcun altro pensando anche che né la Svizzera, né la Francia, né la Spagna e nemmeno il Cile ed il Messico sono andati meglio di noi. Qualcun altro arriva perfino a ricordare che la nostra sorte è stata così triste come quella subita dall'Inghilterra nell'altro campionato del mondo, ad opera del misero undici degli Stati Uniti. Consolazioni, tutte queste, dei disperati, vien da rispondere: mal comune mezzo gaudio.
Noi, cioè i giocatori nostri erano venuti fin quassù con ben altre prospettive ed altre speranze. La fortuna non si è schierata dalla parte nostra. E' questa una circostanza che abbiamo già menzionato e che occorre qui ripetere, ma il valore intrinseco dell'undici era tale da rendere possibile alla compagine italiana di elevarsi anche al di sopra della sorte. Ed il modo in cui siamo crollati, così miseramente, autorizza a supposizioni, congetture e considerazioni diverse. 
Abbiamo messo in campo diciotto giocatori diversi in tre partite, ed in nessuna di esse il funzionamento ha soddisfatto. Nell'incontro ultimo, quello che doveva decidere della nostra sorte nel torneo, la formazione ha stupito tutti quanti, perché in nessuna delle partite di preparazione essa era stata nemmeno provata. Perché tanti uomini nostri sono apparsi talmente fuori forma? Perché la squadra ha battuto genericamente in ritirata, ogni volta che l'avversario si è fatto avanti più o meno baldanzosamente? Perché la nostra difesa, che rappresentava il baluardo della nostra sicurezza, è apparsa improvvisamente così sconnessa e titubante? Perché la nostra prima linea non ha combinato nulla di buono? Mistero. 
E concludiamo che con tanta aperta discordia regnante nel nostro ambiente, con tanta gente che si atteggia a tecnico, ad ultraesperto, che assume atteggiamenti da generalone, con tanta gente che esprime giudizi inesorabili su tutto e su tutti, la nostra impresa in terra britannica — che pure si presentava in forma lusinghiera — era condannata all'insuccesso fin da prima che cominciasse. In Italia il nostro pubblico è composto tutto ed esclusivamente da maestri, da professori, da tecnici di levatura insigne — gelosi tutti quanti, fino all'ultimo sangue, l'uno dell'altro.

"La Stampa", 21 luglio 1966, p. 8

Dolenti note

Le cronache di Monsù
L'ultima coppa del mondo

18 luglio 1966

Un altro sciopero dei poligrafici impedì a "La Stampa" di andare in edicola domenica 17 luglio, giorno successivo al rovescio subito dagli Azzurri per mano dell'undici sovietico. Sul giornale del lunedì, Pozzo - in due contributi - espone le ragioni del pessimo momento vissuto dalla nazionale, improvvisamente spenta ma con una carta ancora da giocare per restare a galla. Nel secondo, il vecchio CU fa un breve bilancio generale sul torneo, nel quale si è concluso il secondo turno.


Sunderland, lunedì mattina.
Le impressioni negative riportate assistendo al primo incontro sostenuto dai nostri calciatori sui campi inglesi non erano sbagliate: la squadra italiana aveva battuto il Cile giocando male, però, sabato, non ha migliorato troppo il suo rendimento ed è stata sconfitta per 1 a 0 dall'Unione Sovietica, che ha segnato il suo goal con l'ala destra Cislenko all'11° minuto della ripresa. Una seconda brutta giornata per gli azzurri, e di fronte ad una squadra per nulla trascendentale. Quella della Russia non può infatti essere considerata una grande formazione nel senso tecnico del termine. E' una compagine di discreto valore e nulla più. E' priva di fantasia nella sua attività, e contro di noi non ha dato prova che di una sola dote, la superiore velocità. 
E qui siamo alle dolenti note per l'unità degli azzurri. Il suo contegno quassù, nel nord dell'Inghilterra è — l'abbiamo già detto e dobbiamo ripeterlo — addirittura incomprensibile. Giocatori che sino a ieri, pur senza arrivare al livello dei grandi campioni, erano però degli elementi di levatura superiore alla media, si sono come smarriti non appena varcata la Manica. Ne risulta che la squadra non si muove sul terreno né come sa, né come può. Chi la conosce e la segue da tempo sa che essa si può portare due, anche tre volte meglio di quanto faccia in questa edizione della Coppa Rimet. 
Sul terreno di Sunderland, gli stessi tifosi nostri giunti allo stadio animati da buone intenzioni, con bandiere, trombe e molto entusiasmo, sono ad un certo punto ammutoliti per lo spettacolo che veniva loro offerto. L'undici italiano praticamente non ha giocato, anche se un leggero miglioramento è stato possibile riscontrarlo nei confronti della Nazionale che aveva pur battuto il Cile. 
I difetti degli azzurri sono ovunque, sono difetti di tecnica e di temperamento. Nemmeno la difesa che ha sempre costituito la nostra forza maggiore si porta adeguatamente. Di fronte ad un attacco avversario che si faccia avanti essa si ritira, ed invece di affrontare i rivali lontano dalla propria porta, dà loro battaglia alle soglie o addirittura dentro l'area di rigore, ovvero nella zona più pericolosa perché da quella distanza può sempre venire scoccato dagli avversari il tiro del goal, il tiro decisivo come è accaduto ieri al russo Cislenko. 
Gli avversari invece vanno affrontati senza paura a centro campo, non bisogna avere timore negli interventi, occorre avere coraggio singolarmente e non ripiegare sino a quando si sentono i compagni vicini, come per avere da loro un aiuto. E' come ammettere di essere inferiori, una tattica del genere, e sembra davvero una tattica dettata dalla paura, una sensazione che nello sport può bloccare i muscoli, se l'atleta non reagisce e se ne lascia impadronire. 
Ai tempi nostri, ci si scusi se li ricordiamo una volta tanto, la battaglia, quando era necessaria, si dava a metà campo, in una zona cioè dove, se battuti una volta, c'era ancora tempo e spazio per riprendersi, per recuperare, per rincorrere l'avversario lanciato verso il portiere nostro. Qui in Inghilterra, giocando a questo modo, se i nostri avversari sanno tirare in porta, noi finiremo per incassare ogni volta una quantità di reti. Ed un fatto del genere sarebbe già avvenuto contro il Cile, se i cileni avessero avuto dei tiratori dotati di precisione, ed una sconfitta più forte l'avremmo subita da parte dei sovietici stessi, se questi pure avessero saputo portare meglio a termine i loro attacchi. 
Dopo due partite, un bilancio davvero deludente per il calcio nostro, almeno per quanto ha dimostrato sinora. Fortunatamente la squadra azzurra ha ancora la possibilità e l'occasione di qualificarsi per i quarti di finale. Basta che si batta martedì la Corea del Nord sul terreno di Middlesbrough e la rappresentativa azzurra salirà a quattro punti nella graduatoria del suo girone, fuori della portata del Cile che ha un punto, ed anche se superasse la Russia non arriverebbe che a tre. Se gli azzurri non chiuderanno almeno alla pari con la squadra asiatica, il disastro per noi sarebbe completo. 


Sunderland, lunedì mattina.
Adesso ci troviamo a sperare di battere la Corea, quasi a temere di non riuscire nell'intento. Questo il risultato delle impressioni negative riportate sul conto della squadra nostra dopo la vittoria, senza troppo merito, sul Cile, e la purtroppo meritata sconfitta subita ieri ad opera dell'affatto trascendentale selezione dell'Unione Sovietica. Se almeno i giocatori russi si fossero mostrati nel frangente dei campioni di statura internazionale, la battuta d'arresto della formazione azzurra — stavolta senza Rivera — parrebbe meno dura: invece Cislenko e colleghi hanno superato i nostri rappresentanti nella velocità e nella decisione, due fattori che nel calcio hanno grande importanza, ma non sono come la tecnica e la classe: velocità e decisione si possono avere sempre, basta volerlo ed essere in buone condizioni fisiche, mentre tecnica e classe sono cose più difficili, sono il frutto di un lungo lavoro o di una particolare predisposizione allo sport della palla. 
Per il calcio nostro, qui giunto con aspirazioni non di vittoria finale ma certamente di buon comportamento, il risveglio è stato duro dopo le partite con Cile ed Unione Sovietica. Delle debolezze dei nostri attaccanti già eravamo abbastanza certi, per le numerose dimostrazioni in tal senso date anche in campionato, ma non ci si aspettava di vedere anche i forti difensori, i Salvadore, i Rosato, i Burgnich ed i Facchetti, cedere cosi chiaramente di fronte agli avversari, ripiegare disordinatamente verso Albertosi, invece di giocare decisi fuori dell'area di rigore. Per i nostri ogni partita è un affanno, le sconfitte diventano inevitabili. Si può ancora sperare nel prossimo futuro, nel proseguimento della Coppa Rimet, ma ormai abbiamo deluso la grande attesa che ci circondava. L'aria d'Inghilterra ha tolto le forze ed il coraggio agli atleti nostri. 
Intanto, guardando i campionati da un lato più generale, dopo quattro partite per girone la situazione comincia a diventare più chiara in questa mastodontica manifestazione che è il campionato del mondo. Ognuna delle sedici squadre è comparsa in campo due volte ed i risultati — spesso contraddittori nella loro essenza — hanno fatto sentire il loro effetto. Significativo è il fatto che due sole squadre già a questo punto della tenzone figurino a punteggio pieno. Esse sono quella del Portogallo del gruppo 3°, e quella della Russia del gruppo 4°, il nostro. Il Portogallo ha avuto la fortuna di incontrare l'Ungheria prima che questa avesse trovato il suo miglior grado di forma, e l'ha battuta clamorosamente. Poi, con la Bulgaria, ha avuto relativamente la vita facile. E' la squadra che ha segnato il maggior numero di reti, quella del Portogallo: sei reti, e la sua potenza di attacco è quella che, assieme alla forza di costruzione dell'Ungheria, maggiormente ha impressionato finora nel torneo. 
Come forza penetrativa in un torneo che fino al momento presente ha visto le teorie difensive prevalere su quelle offensive, si sarebbe stati disposti a dare la preferenza all'undici della Germania. Fino a ieri. Poi, ieri stesso, i tedeschi si sono fatti bloccare sullo 0-0 dall'Argentina, e il fatto ha sorpreso tutti quanti. Contro i sudamericani, la Germania ha presentato una formazione diversa dalla solita: con Haller in posizione di mediano laterale e con Bruells, conosciuto anche in Italia, come mezzala destra. 
Gli argentini si sono battuti, a base di gioco stretto e minuto come al solito, in modo rabbioso. E, detto fra parentesi, l'incontro ha dato luogo alla prima espulsione di un giocatore d'attacco. Il calciatore espulso è stato il mediano laterale Albrecht il quale, dopo di avere commesso un fallo di violenza inaudita, ha tentato invano la solita commedia di buttarsi a terra come se si trovasse in agonia. Una commedia, detto fra parentesi, che si ripete anche qui con troppa frequenza. L'arbitro, che ad essa non ha creduto affatto, è stato lo jugoslavo Zenecnic [sic]. L'argentino Albrecht rifiutò dapprima di ubbidire all'ordine di espulsione, un fatto questo che da parte dei sudamericani era successo anche a Torino, e dovette intervenire un dirigente argentino per costringerlo a lasciare il campo. 
La più forte impressione di tutte l'ha lasciata comunque finora l'Ungheria, per il modo in cui ha giocato e vinto contro il Brasile. La partita che i magiari hanno svolto sul campo dell'Everton a Liverpool è stata di una bellezza tale da far riconciliare col gioco le persone più seccate dalle tendenze moderne. I magiari non sono ricorsi a complicazioni di gioco. Essi hanno svolto i loro temi in modo semplice e naturale, tanto da fare parere facile il difficile. Un modo di comportarsi, questo, che ha richiamato alla memoria il gioco di una volta. E i brasiliani hanno confermato a tutti quanti che la loro squadra, quando non compare in campo il divo Pelé, perde la metà del suo valore. I sostenitori del Brasile quasi si offendono quando si dice loro questa grande verità. Essi sostengono il principio che è il Paese intero ad essere forte, ed a possedere una produzione di elementi di valore che gli altri non hanno. Un principio che stavolta ha ricevuto un colpo formidabile. 

I due articoli sono apparsi su "Stampa Sera", edizione del lunedì, 18-19 luglio 1966, rispettivamente in prima e a p. 8