La sfida dell'Olimpico tra Inter e Juve


Le cronache di Monsù
30 agosto 1965

Da Roma, la mattina dopo la partita, Monsù Poss commenta Inter-Juve - finale di Coppa Italia della stagione 1964-65, ma giocata per l'affollamento del calendario all'inizio della successiva -, non senza considerazioni d'apertura volte a confrontare l'importanza della manifestazione nostrana con quella di altri paesi. Anche in questo commento Pozzo non omette di infilare qua e là qualche allusione all'antipatia che nutre per Herrera e il gioco dell'Internazionale.

Roma, lunedi mattina [30 agosto 1965]. 
Questa volta la corona del pubblico era più che discreta: più di 70 mila persone presenti, ma la finale della Coppa non si avvicina mai da noi, né come presentazione né come importanza, alla luminosità dei consimili avvenimenti dell'Inghilterra, della Francia, della Germania e di altri paesi. Abbiamo assistito ad una dozzina di finali della Coppa inglese e ad un paio della Coppa di Francia. E' tutt'altra cosa. Una manifestazione grandiosa, lassù, con musiche, cori, una autentica festa di popolo, presenti ogni qualvolta le più alte personalità dello Stato. 

Qui da noi la Coppa ha sempre trovato il mercato occupato dal campionato. Non c'è più posto per altre competizioni. La «campionite» ha contagiato un po' tutti quanti. Ce ne vorrà del tempo perché le cose cambino. Qui le società stesse non giungono ad attribuire importanza alle gare di Coppa che al momento in cui si arriva allo stadio delle semifinali, perché allora già si sente l'odore degli incassi ai quali dà luogo il torneo internazionale dei vincitori delle consimili manifestazioni dei diversi paesi.

In questa occasione c'è stata, comunque, più animazione delle altre volte. Essenzialmente c'è stato più nervosismo. Sia l'Internazionale come la Juventus avevano mobilitato al massimo i componenti dei loro gruppi di sostenitori sparsi nelle diverse città d'Italia. Gli incitamenti di questi interessati erano quindi quasi ugualmente divisi. A far pendere la bilancia a favore dei torinesi erano le opinioni altisonanti degli sportivi della capitale, che a loro dire non avevano dimenticato alcuni screzi datanti dalla stagione scorsa. Nel complesso si può affermare che i favori del pubblico erano per i bianconeri.

L'incontro è finito con la vittoria della Juventus, per una rete a zero segnata al 15° minuto del primo tempo dal calciatore romano dei bianconeri, Menichelli. 

Il gioco è stato nel suo complesso equilibrato ma non si può dire affatto che la vittoria dei juventini non sia stata meritata. 

Il primo tempo è apparso il migliore, specialmente per parte dei torinesi. L'Internazionale ha tentato di distendersi appieno nella ripresa, in modo particolare nel corso del quarto d'ora finale. Durante quest'ultimo periodo, il mediano nerazzurro Bedin ha segnato con un colpo di testa il punto che avrebbe dovuto essere quello del pareggio, ma l'arbitro ha annullato la rete senza esitazione alcuna. Era stata segnata in netta posizione di fuorigioco. Prova ne sia che il guardalinee già aveva sbandierato la posizione irregolare del nerazzurro prima ancora che egli ricevesse la palla. 

A guastare poi il periodo finale dell'incontro intervenne, proprio alla mezz'ora del secondo tempo, l'espulsione di un giocatore per ognuna delle due compagini: Burgnich e Del Sol. I due si erano scambiati apertamente, senza sotterfugi, calci e pugni. Delle due assenze, in quel quarto d'ora che decise di ogni cosa, quella di Del Sol si fece immediatamente sentire per la mobilità che lo portava ad essere un po' dappertutto. 

La partita non è stata gran che sotto il punto di vista della tecnica. Si è visto chiaramente che entrambe le squadre hanno ancora da lavorare parecchio per portarsi al giusto grado di forma e di rendimento. Ma la Juventus è apparsa delle due unità la più a posto. L'Internazionale non ha prodotto nulla di più di una esibizione mediocre. I nerazzurri avevano apertamente dichiarato che avevano giocato finora gli incontri amichevoli di preparazione senza impegno o grande convinzione, ma che trattandosi questa volta di una gara di grande e solenne importanza intendevano finalmente dare la prova del loro vero ed autentico valore. 

Se questa era l'intenzione, bisogna dire che la promessa non è stata mantenuta. Si è avuto più o meno la conferma del disastro subito dai milanesi a Barcellona. La prima linea non ha prodotto una sola volta un attacco del tipo di quelli del passato. Sarti è stato il giocatore sul capo del quale viene a gravare decisamente la colpa della sconfitta. Dall'inizio della stagione egli difendendo la sua porta ha commesso errori su errori. L'intera compagine nerazzurra ha fornito del resto la prova di essere ancora ben lontana da una condizione fisica e tecnica soddisfacente. 

Sugli scudi per la Juventus la prova fornita da Salvadore. Ma tutti gli uomini hanno coperto i novanta minuti in modo che, come impegno, non si può se non lodarli incondizionatamente. L'intera difesa però si è portata molto bene e particolarmente Bercellino, il quale nel quarto d'ora finale ha salvato con una rovesciata provvidenziale la propria rete dal pareggio. 

La Juventus ha riportato per la quinta volta la Coppa d'Italia, un primato questo che è assoluto per tutta l'Italia.

[Vedi le immagini del match in Cineteca]

Memorie di Adriano

Di lui ho vivido il ricordo del suo esordio nerazzurro. Era una sera afosa dell'agosto 2001, davanti a un classico eurovisivo di sempre: Real-Inter. Squadre in rodaggio, senza particolari sconquassi. A tre minuti dalla fine il cambio: esce un ronzinante di cui ho perso memoria ed entra questo ragazzo di cui nessuno sapeva nulla tra cronisti e giornalisti (poi venimmo a sapere che era casualmente arrivato, campione mondiale a 17 anni, come spicciolo per il rientro al Flamengo del non rimpianto sambista Vampeta). In quattro minuti giocò tre palloni in crescendo, con una naturale autorevolezza. Il primo fu un dribbling sulla destra in cui saltò l'uomo e mise al centro un cross che la cabeza incredula di Vieri o chi per lui mise fuori di un soffio. Il secondo al successivo rovesciamento di fronte, questa volta a sinistra, si bevve tre uomini convergendo verso la lunetta dei 16 metri dove fu steso. A quel punto fu inquadrato il Gaucho Triste che poi ci avrebbe pilotato al 5 Maggio, che si sbracciava verso il campo per fare tirare la punizione al ragazzone ("Tira lui! Fate tirare lui!"). Cronisti RAI sogghignanti: "mo' tira sto' Adriano, appena entrato, mai visto, la solita Inter". 

Rincorsa breve, sinistro in partenza a 178 all'ora (misurati), ancora 170 probabilmente quando si insaccò nell'angolino a sinistra di Ikers [vedi]. Bernabeu espugnato, il fantasma di Santillana finalmente scacciato. Fu l'epifania di un campione. Per giorni consumammo pagine di Rosea per sapere tutto di lui, in un delirio ferragostano.

Un mese dopo, alla prima di campionato [vedi], a S. Siro fece un gol acrobatico di sinistro al Venezia e cercò di strapparsi di dosso come Hulk la maglietta dai sacri colori. Si cominciò a dire che era ancora giovane e discontinuo e che gli avrebbe fatto bene svernare in provincia: così gli furono preferiti Ventola e Kallon e lui andò a sciacquarsi i panni in Arno, dove lo vidi dal vivo il successivo sabato di Pasqua dalla Maratona giocare un'oretta senza nerbo, vedendosela con Materazzi e Cordoba, in uno stadio surreale, vuoto nella Fiesole per l'ultimo sciopero del tifo viola prima del tracollo di VCG.

Poi conosciamo la farsa in cui fu coinvolto: venduto a metà al Parma, insieme con 11 miliardi di vecchie lire, per un Cannavaro intero; una stagione in cui cominciò a dimostrare tutto il suo valore; una comparsata in gessato grigio sociale Parmalat a Controcampo una sera in cui interrogato se sarebbe tornato ad Appiano a fine stagione disse sinceramente che gli sarebbe piaciuto finire al Milan; capocannoniere del campionato in autunno, ispirato dai lanci dell'irritante Morfeo, prima dell'infortunio; il tracollo di Tanzi; la fessaggine di Moratti e i suoi 4 milioni di 'valorizzazione' "per il lavoro svolto da Prandelli"; 22 milioni per ricomprarsi la seconda volta un presunto campione. Anche questa è stata l'era Moratti. 

Il resto è storia: triste. Perché il ragazzo aveva i numeri ma non la testa per cambiare vita. Ha continuato a fare quella di quando era ragazzo. Un peccato: per sé e per noi.
(2015)
Azor