Continua il dominio del Santos

Le cronache di Monsù
12 ottobre 1962

Vittorio Pozzo, a Lisbona, vede il Benfica letteralmente schiantato dal Santos nel match di ritorno della Coppa intercontinentale. Lo estasiano le prodezze di Pelè, che pare "gatto sornione" ma è "tigre in agguato". Normalmente, la grandezza (comunque assoluta) dell'asso brasiliano è sminuita con l'argomento della sua mancata militanza in club europei. Discorsi fuorvianti. In quegli anni, i primi 1960s, il Santos di cui lui era simbolo e stella travolse tutti i grandi squadroni europei, senza pietà. Cosa che non è più accaduta, dopo di allora, ad alcun club del Sudamerica.

Lisbona, venerdì sera [11 ottobre 1962]
Il Benfica aveva perduto di stretta misura nel mese scorso il suo incontro di andata col Santos in Brasile e nutriva la segreta speranza di poter battere in qualche modo i brasiliani in casa propria nella partita di ritorno, per poter disputare due giorni dopo, cioè sabato 13 corrente, una gara decisiva che potesse dargli il titolo di campione del mondo come squadra di società. 
Era un sogno ambizioso e le sue speranze sono state liquidate nello spazio di undici minuti da quel giocatore di eccezione che risponde al nome di Pelé. Il negretto ha segnato due reti nello spazio che va dal 17° al 28° minuto del primo tempo. Pareva sonnecchiasse in quel periodo, Pelé, tanto poco egli aveva l'aria d'interessarsi all'andamento delle azioni. Invece era il gatto sornione che fingeva soltanto di dormire. Egli è piombato su quei due palloni all'improvviso, come può fare una tigre in agguato ed ha battuto spietatamente il portiere Costa Pereira, mettendo al sicuro il risultato per la sua squadra. Da quel momento, nessuno nutrì più dubbi sulla destinazione che avrebbe preso la vittoria. 

Poi, nel secondo tempo, quando già il Santos stava vincendo per tre reti a zero, Pelé segnò il suo punto capolavoro. Pelé scombussolò l'intero sistema difensivo degli avversari con un balzo che ebbe in sé dell'incredibile, dell'impossibile. Egli superò ed attrasse fuori posizione tutti quanti. Giunse fino alla linea di fondo, sulla sinistra, e qui parve a tutti ch'egli fosse battuto dalla velocità della sua azione c dalla difficoltà dell'angolo di tiro. Invece si fermò di colpo, girò su se stesso come spinto da una molla, toccò la palla con affetto e la mandò a finire in rete. 
Una cosa formidabilmente difficile, una prodezza fisica e tecnica quale si vede una volta nella vita di un uomo, una cosa che può parere incredibile a chi non l'ha vista. Fu un colpo magistrale, che solo può riuscire a uomini del tipo e della razza sua. 
Poi di reti i brasiliani ne segnarono ancora, con l'ala sinistra Pepe che rincorse una palla morta e che il portiere portoghese stoltamente perdette. Ed avrebbe potuto segnare anche di più, che quegli indemoniati attaccanti colpirono un palo e persero parecchie altre buone occasioni. 
Fino a che fu la loro difesa ad addormentarsi. La squadra stava vincendo per 5 reti a 0 e mancavano solo quattro minuti alla fine ed i terzini presero la gara sottogamba e si posero quasi a scherzare. Gli avanti portoghesi, allora, che avevano mancato il bersaglio parecchie volte, imbroccarono due azioni individuali, e batterono il portiere Gilmar, prima con Eusebio, poi con Santana. 

La vittoria dei brasiliani è di quelle che non si discutono.. La loro padronanza della palla li mette in grado di fare quello che vogliono, quando vogliono. Il Santos giocherà a Parigi il 17 corrente e poi in Inghilterra e in Italia e altrove, ed uscirà intatto, anche sotto questo aspetto, dalle insidie dei sodalizi europei. Il Benfica, al confronto con il Santos, non è esistito. Ha parecchi uomini fuori forma, ma essenzialmente ha perduto un difensore come il centro mediano Germano, e il centravanti Aguas. Contro il Santos l'undici portoghese ha lottato ed ha avuto la sua parte di gioco, ma la sua prima linea, malgrado tutti i tentativi di Eusebio e di Simoes, ha cincischiato troppo, ha operato in spazio troppo ristretto e ha dato prova di una imprecisione di tiro davvero impressionante. Non è più l'undici del Benfica della scorsa stagione, quello che cosi brillantemente sconfisse, lontano da casa propria, il Tottenham ed il Real Madrid.

[Vedi le immagini del match in Cineteca]

Un duello "rusticano"

di Giovanni Arpino

In palio la Coppa intercontinentale, di cui gli argentini dell'Estudiantes sono detentori. Si gioca a San Siro, ed è subito la corrida descritta da Arpino; in attesa del ritorno a Baires, dove "non solo farà caldo, ma sarà necessaria una benedizione prima di scendere in campo"

Milano, 8 ottobre.

Milan in agguato come Otello, ma l'opera lirica da citare quale esempio è la «Cavalleria Rusticana». Duelli accaniti, stinchi in pericolo perenne, un agonismo che ha sconfinato sovente in cattiveria brutale. 
Gli argentini sono solamente i nipoti dei palleggiatori di una scuola ormai tramontata: la squadra degli Estudiantes gioca con grinta, velocità, peso fisico e proprio a Nereo Rocco deve aver ricordato il suo vecchio Padova. 
Agli aeroplanini di carta che piovevano gioiosamente in campo prima dell'inizio (siano benvenuti, dopo tanti stupidi mortaretti di altre occasioni) ha corrisposto uno spettacolo rozzo e furente, un foot-ball all'arma bianca. Gli argentini, in maglia a strisce bianche e rosse come un famoso dentifricio, non hanno certo subito il Milan: l'hanno anzi costretto a tirar fuori le unghie, l'anima, il coltello.

Poletti in uscita, su Prati
Debole in centrocampo, con un Rivera spesso saltato via e fuori ritmo per una partita gladiatoria come questa, la squadra rossonera ha messo in vetrina Anquilletti, Sormani, Schnellinger, un Lodetti svirgolante su troppi palloni ma generoso come sempre. Ai bulloni argentini hanno risposto per le rime Prati e Rosato, e anche Rivera talvolta, un bambino d'oro che ormai ha del ferro maligno nelle punte dei piedi.
Combin è ancora discutibile, secondo molti, ma appena ha un pallone tira e segna: l'organizzazione d'attacco rossonera deve ancora imparare a tenerne conto e non costringere un centravanti abile a recuperare palloni come un portatore d'acqua qualsiasi. Gli «estudiantes» si sono presentati come medici, laureati o quasi e quindi teoricamente degni del nome: in effetti si sono comportati come sergenti maggiori d'altri tempi. O la palla o la caviglia, o la palla o il ginocchio. Così il gioco è vissuto per sprazzi rarissimi, anche se talora avvincenti per lo slancio, giustificato dalla posta in palio. 
Sormani: doppietta
Sormani su tutti: il «vecchio» rossonero si è battuto come un rinoceronte, mai temendo l'avversario (lo si è visto crollare due volte in mischie paurose, lui solo fra tre, quattro biancorossi), ha segnato un gol fulmineo nel primo tempo e una rete splendida per esecuzione e tempismo nel secondo.

Verso l'ultima mezz'ora la partita non si è certo afflosciata, ma per molti il pallone pesava forse qualche chilogrammo. Poteva anche scapparci il ferito grave, o qualche incidente fatale ad ossa tanto preziose: evidentemente c'è un qualche santo anche per i calciatori. E' il santo che oggi Rocco ringrazia per questi tre gol, indispensabile bottino in vista del ritorno in Argentina, dove non solo farà caldo, ma sarà necessaria una benedizione prima di scendere in campo. 
Tra i tanti personaggi in tribuna c'era Vincenzo Torriani, organizzatore del Giro d'Italia. Con voce rauca urlava invocando espulsioni. I giornalisti argentini, con regolamentari sigari grossi mezzo metro e garofano all'occhiello, registravano impassibili: evidentemente conoscono questi Estudiantes e non si stupiscono più. Anche noi non dovremmo stupirci troppo: in Messico, ai Mondiali, volerà più di uno stinco. Tanto vale essere preparati. Il football ha anche questi aspetti durissimi: bisogna saperli affrontare con occhi gelidi e tibie di granito. 

"La Stampa", 9 ottobre 1969, p. 18.