Imperfetti e belli, paurosi ed eroici: il calcio siamo noi

di Mario Sconcerti

Riletto a distanza di anni il commento a caldo della prima firma del "Corriere della sera" colpisce per il senso di ebbrezza incredula che avvinse non solo Sconcerti (nomen omen) ma anche la parte del nostro paese che ama il calcio e lo reputa una componente importante della sua storia e della sua vita. Forse più importante della cronaca politica e internazionale che scorre e scompare.

Siamo campioni del mondo, come nessuno pensava e come nessuno nemmeno ci voleva. Noi catenacciari e sporchi, corrotti e vittimisti. Noi di questo Paese che si fustiga e che domani manderà i campioni del mondo a giocare chissà dove, in B o in C non importa, perché noi siamo così, unici ed eclettici, morbosi e avvelenati di lealtà. Siamo campioni del mondo con grande sacrificio come tutto in questo mondo post cattolico e post comunista, ma che in ogni latitudine dello spirito ha sempre saputo giocare questo gioco fantastico che è di tutti gli uomini. L’Italia è campione del mondo, la nostra terra, questo Paese strano e disincantato dove adesso stiamo commuovendoci tutti perché si sa che il calcio non è la vita, ma valla a immaginare una vita senza il calcio. E pazienza se ci sono cose più importanti. Il calcio siamo noi dello Stivale, fantastica terra di mezzo sospesa fra i mondi, bianca, nera, di chissà quali razze, mescolata a se stessa, aggrappata a un’idea di vita arrangiata e granitica. Noi che veniamo da un colpo d’arte, noi che non sappiamo dove nasce la logica, la diplomazia, il mondo, ma sappiamo esistere come pochi altri, che abbiamo piegato la vita nella vita e ora ce la giochiamo sul campo come professionisti del sacrificio, come artisti dell’arrangiarsi. Pazienza se la Francia ha giocato meglio. 

I primi a essere increduli
Che cosa pretendete, che vi racconti una partita? Non è possibile, non sarebbe giusto. L’Italia è campione del mondo perché ha passato tutte le fasce della gara. Quella in cui è andata stupidamente sotto e quella in cui è tornata a galla. Quella in cui doveva vincere e quella in cui è stata brava a non annegare. L’eroe non è perfetto, ma l’eroe è per sempre. E noi, loro, tutti, stasera, siamo stati eroi. In fondo il calcio è questo, la straordinaria sensazione di correre davvero sul carro dei vincitori. Siamo tante volte sconfitti durante la vita, durante la giornata. Viviamo di televisione perché non possiamo vivere di vita. Il calcio è la simulazione più vicina alla realtà, quella più piena di energia, quella che tiene a galla e ci fa dire che forse vale ancora la pena giocare con i sentimenti. L’Italia è campione del mondo e noi con lei, noi che siamo la sua gente, noi che non sappiamo segnare né quasi fare un passaggio, ma siamo cresciuti in mezzo al fascino violento e galeotto di questo sport che ci cattura da subito e ci fa mettere tutto alle spalle. Noi sappiamo che ci sono cose più importanti. È questa la cosa bella, che ci sono cose vere, che la vita sta da un’altra parte, a Gaza, a Bagdad, in qualche metropolitana di grande capitale occidentale. Ma arriva un momento in cui il calcio porta via con sé, strappa da tutto, spezza la vita e ne costruisce un’altra. Fa diventare campioni del mondo. E il resto, onestamente, sinceramente, chi se ne frega.

La partita non è stata il meglio. Totti l’ha fallita in modo quasi crudele, Materazzi l’ha monopolizzata all'eccesso. Suo il fallo del rigore, suo il gol del pareggio, sue le parole, chissà quali, chissà quanto dure, contro Zidane, e suo anche il gol in più che ci dà il titolo mondiale. L’Italia ha giocato un ottimo primo tempo, poi si è spenta e ha semplicemente resistito. Eravamo esausti contro un avversario che era appena più in gioco, ma non aveva attaccanti. Loro erano solerti e noiosi, lenti e previsti. Quando Henry è uscito per sfinimento e Zidane per squalifica, è stato quasi chiaro che avevamo vinto. Ma la certezza è stata dura e lenta da conquistare. Straordinario ce l’abbia data Fabio Grosso, l’uomo del Mondiale, quello che non doveva nemmeno esserci. Una parte seria di questo Mondiale va nelle sue spalle di figlio di tutti i campi di provincia e alla soglia dei trent'anni arrivato finalmente nella storia e in una grande società. Un ultimo pensiero per Domenech, c.t. francese. Aveva ragione lui con le sue manie astrologiche spinte fino alla fissazione. Detestava gli scorpioni. Provate a indovinare: di che segno è Trezeguet, l’unico in campo ad aver sbagliato il rigore?

"Corriere della Sera", 10 luglio 2006