Italia-Ungheria (finale della Coppa del mondo 1938): la vigilia

Le cronache di Monsù
18 giugno 1938

Immaginare il Brasile, il suo calcio, la sua Seleçao come qualcosa di poco conosciuto (e perciò temibile) in Europa sembra oggi ovviamente impossibile. Eppure, ai mondiali del '38, era così; del resto, nel vecchio continente o Brasil aveva fatto capolino per l'ultima volta nel '34, e senza impressionare - anzi. Anche Pozzo - esperto come pochi di calcio internazionale - metteva spesso l'accento sulle qualità imperscrutabili dei sudamericani. I quali certo non nascondevano, come si sa, la propria presunzione. A Marsiglia furono dominati da un XI maturo, abituato a giocare match di quel tipo, e soprattutto ormai abituato a vincerli. Ora mancava solo l'ultimo tocco, a perfezionare un ciclo e il capolavoro del suo artefice. La finale, contro l'Ungheria. Monsù presenta il match ai  lettori, sopraffatto - come si vedrà - dall'emozione. Ma non senza grande fiducia nei suoi uomini.


Saint Germain, 18 giugno.

Ultima giornata del torneo. Ultima fatica degli azzurri. In gara più non sono che l'Italia e l'Ungheria.
La strada percorsa dalle due squadre finaliste per giungere fin dove esse sono giunte è nota nelle sue diverse tappe. E' meno conosciuta nella natura delle fatiche sostenute. Natura che è stata ben differente nell'un caso dall'altro. Tutte le difficoltà sono state riservate dalla sorte e dagli eventi all'Italia. Nulla di facile vi è stato per essa. La tappa che pareva e doveva essere la più facile ha finito per essere la più ardua, si parla della prima, quella della Norvegia. Superata, grazie all'eccellente condizione fisica dei nostri uomini, questa tappa, ecco spuntare la Francia sotto forma di una grossa, di un'immane questione psicologica, di un problema dalle proporzioni morali enormi, schiaccianti per ragioni che collo sport del calcio poco avevano a vedere o che allo sport del calcio soltanto incidentalmente si collegavano. Superata anche questa, ecco farsi avanti il Brasile, proprio lo spauracchio del torneo, l'avversario più sconosciuto, proprio il contendente tecnicamente più temuto. Mano a mano la squadra italiana come uno strumento sensibile, come un motore che risponde alle sollecitazioni delicate o vigorose che gli si rivolgono, si eleva all'altezza delle situazioni che le si presentano. E gioca una volta meglio dell'altra: a Parigi meglio che a Marsiglia - e ci voleva poco -, a Marsiglia ancora meglio che a Parigi. E può far di più ancora. Alla finale gli azzurri giungono stanchi, doloranti per ferite, nervosi ma in condizioni di dire la loro parola. 
Nulla di tutto ciò per l'Ungheria. Primo avversario, le Indie olandesi. Passeggiata degli asiatici in Europa. Passeggiata degli ungheresi contro di essi. Secondo avversario, la Svizzera, incompleta e affranta da 210 minuti di gioco contro la Germania: facile vittoria. Terzo avversario: la Svezia. Avversario inesistente. I magiari fanno assolutamente quello che vogliono. Risultato, essi giungono alla finale come una delle poche squadre che non hanno dovuto giocare tempi supplementari. Non ha sudato l'Ungheria per giungere fin dove è arrivata. 
Ecco i due finalisti. Si conoscono. Si guatano. Sanno cosa pensare l'uno dell'altro. Si sono incontrati tante di quelle volte in Italia e in Ungheria, su terreno neutro mai, che non hanno incognite l'uno per l'altro. L'incognita, l'incertezza, è data dalla specialità dell'occasione, dall'importanza della posta. 
Ultima giornata del torneo. Ultima fatica. Gli azzurri l'attendono quest'ultima fatica con cuore fermo. Il torneo ha provato loro che la squadra è all'altezza di tutte le situazioni che si possono nell'interno della competizione verificare. Lasciata a sè, allontanati cioè coloro che con tutto l'amore e la passione non facevano che fare un gran male, essa ha superato tutte le crisi, ricostituito tutte le energie, ripreso il possesso di tutte le facoltà. E gioca come nei suoi momenti migliori. 
L'errore che si può commettere d'altra parte nell'attuale situazione è quello di giudicare l'Ungheria sul valore delle prove fornite finora nella competizione. Lo stesso errore che hanno commesso gli altri nel valutare noi sulla prova fatta contro la Norvegia a Marsiglia. L'Ungheria sa giocare molto meglio di quanto non abbia mostrato fino ad oggi. Gl'italiani lo sanno. 
Ultima giornata di un torneo che ha rappresentato uno sforzo dei più duri. Ultima di una serie di fatiche materiali e morali che resteranno impresse nel ricordo di coloro che le hanno sostenute. Gli azzurri non parlano di timore, non ostentano sicurezza. Tengono il contegno che hanno sempre tenuto prima dei momenti decisivi. Stanno zitti. Lasciano che la volontà scavi il suo solco profondo e produttivo nella mente e nel cuore. Sanno cosa ci si attende da essi, a casa. Ancora una volta faranno il loro dovere.