L'epifania mancata della potenza calcistica sovietica (Helsinki '52): parte prima

Ben poche sono le fonti ‘primarie’ che ci consentano di osservare e valutare l’avventura della nazionale sovietica di football negli anni ’50 del secolo scorso. Rari, brevi, frammentari filmati. E’ tuttavia fuori di dubbio che, alla fine di quel decennio, l’XI formato dai più bravi pedatori delle repubbliche sovietiche occupasse a pieno titolo un posto nell’élite del calcio mondiale: si prese infatti il torneo olimpico di Melbourne (1956) e, soprattutto, il titolo continentale nel 1960, quando giunse a compimento il primo Campionato europeo per nazioni.

L'XI dell'URSS ha appena conquistato il titolo europeo:
Parigi, Parc des Princes, 10 luglio 1960
Fu un decennio fantastico, per certi aspetti epico. Iniziato con il maracanaço, proseguito con l’epocale presa di Wembley da parte della formidabile squadra ungherese, movimentato dal clamoroso ‘miracolo di Berna’, caratterizzato ancora sul finire dall’epifania di Pelé, chiuso definitivamente dal trionfo sovietico al Parc des Princes di Parigi [vedi]. A quel punto, il calcio ‘moderno’ è ormai assestato: tutte le grandi competizioni internazionali (comprese quelle riservate ai club) sono stabilizzate: se non nella formula, sicuramente nella periodicità. Di questo nuovo ordine mondiale del football, l’URSS è elemento integrato e importante.

Una recente e pregevole opera di Mario Alessandro Curletto [I piedi dei Soviet], basata esclusivamente su fonti (giornalistiche, biografiche, letterarie) sovietiche, ha illuminato il contesto in cui il gioco crebbe nel grande paese rosso, fra propaganda di regime e competizione tra apparati; un contesto ovviamente ignoto, nei suoi dettagli, al mondo occidentale. La percezione di potenza e di minaccia – politica e militare – emanata da quell’universo si rifletteva nel credito che alla sua rappresentativa calcistica, allestita per l’occasione e mai impegnata in competizioni ufficiali, veniva riconosciuto alla vigilia della kermesse olimpica di Helsinki. Ciò spiega l’interesse e la curiosità destati da quel torneo (che non costituiva certamente il piatto forte dei Giochi); ne è testimonianza, in Italia, la ‘copertura’ che ai match disputati dall’URSS fu assicurata da due importanti testate, non sportive, di ispirazione politica opposta: La Stampa (torinese, di proprietà del gruppo Agnelli, diretta in quegli anni da Giulio De Benedetti) e naturalmente L’Unità (quotidiano del Partito Comunista Italiano, diretto allora da Pietro Ingrao).

Vittorio Pozzo
Essendo venticinque le squadre iscritte, prima degli ottavi fu organizzato un turno di ‘spareggio’. Le gare erano in programma il 15 e il 16 luglio, tre giorni prima della cerimonia d’apertura dei Giochi. Sorteggio integrale, nessuna testa di serie – ancora lontani i privilegi e la maledizione del ranking. All’URSS viene accoppiata la Bulgaria, appena incontrata in due amichevoli di preparazione – non ufficialmente riconosciute. Costrette al preliminare anche Italia, Inghilterra, Ungheria, il match fra sovietici e bulgari – costituendo per i primi il ‘battesimo’ internazionale – sollecita sguardi più ansiosi. Poco si sa di calciatori e gioco dell’XI guidato da Boris Arkad’ev e dai suoi collaboratori. Eppure, è considerato – al pari dell’Aranycsapat – favorito del torneo. Inviato de La Stampa sui campi finlandesi è Vittorio Pozzo, che ha ormai chiuso definitivamente la sua straordinaria vicenda di CU della nazionale italiana. Appena arrivato a Helsinki, trasmette un dispaccio in cui dà conto dei matches in programma; “l'attesa maggiore è per l'esibizione del russi, che giocheranno contro la Bulgaria a Kotka. Si dice che i calciatori sovietici siano molto forti anche se recentemente a Sofia hanno pareggiato proprio contro i bulgari” [Stampa Sera, 15 luglio 1952]; il giorno dopo – aprendo il resoconto della partita – Pozzo echeggia la considerazione generale di cui l’URSS è fatta oggetto: “i calciatori sovietici vengono considerati come probabili vincitori finali del torneo”  [La Stampa, 16 luglio 1952].

Inizia l'avventura
La pressione sull’undici di Arkad’ev è fortissima. Dall’esterno e, come Curletto ha ben spiegato, dall’interno. E’ una squadra obbligata a vincere. E’ una squadra che forse è stata addirittura sollecitata a firmare un documento in cui garantisce la vittoria [I piedi dei Soviet, p. 182]. Passa il barrage contro i bulgari, ma non convince. Sono necessari i tempi supplementari: finisce due a uno, in rimonta, dopo 90° a reti bianche [tabellino]. Le prime impressioni di Pozzo sono caute. "C'è mancato poco che la Russia non venisse sconfitta. I calciatori sovietici si sono dimostrati oggi un po' inferiori alla loro fama: indubbiamente non erano in buona giornata e forse emozionati dall’ambiente nuovo e a loro non favorevole. I russi, che portano maglie rosse e calzoncini azzurri di ampie dimensioni, si sono confusi in una ridda di inutili passaggi e di ‘dribbling’ ottimi tecnicamente, ma superflui come tattica. Non si è visto il gioco lineare, sobrio, essenziale per cui i russi vanno famosi. Ma bisogna andare assai cauti nel giudicare. Non basta una giornata buona o cattiva per stilare un'opinione definitiva ... Quel che ha sorpreso in queste due squadre è stata la lentezza di movimenti, sia individualmente che nelle azioni collettive. Il controllo della palla è però di prim'ordine: lo stop, il palleggio, il gioco di testa, il passaggio, tutti questi elementi fondamentali del calcio sono improntati all'autentica tecnica, del football più classico. Fama non usurpata dunque, quella dei calciatori russi e bulgari. Restano però da vedere la ‘classe’ personale e i temi tattici, contro gli occidentali”.

Pagina sportiva de L'Unità del 16 luglio
Su L’Unità del 15, nessun cenno al match. Il quotidiano, da non molto attrezzatosi di una redazione sportiva, garantirà un’ampia copertura ai giochi di Helsinki. E amplissimo risalto alle imprese dello sport sovietico. Giuseppe Signori, sdoganatore dello sport sul foglio comunista (e – caso raro – non iscritto al Partito), non è grande intenditore di football; ma deve naturalmente occuparsi di ciò che la rappresentativa sovietica combinerà nello sport più popolare e (insieme al ciclismo) più caro alle masse. Il breve racconto di URSS-Bulgaria (apparso il 16 luglio) contraddice il giudizio espresso da Pozzo. “Pur essendosi difesa con meravigliosa energia e tenacia, tanto da chiudere in parità i tempi regolamentari, nei tempi supplementari la Bulgaria ha dovuto cedere alla miglior tecnica e soprattutto alla miglior preparazione atletica dei sovietici”. Infatti, “i prodigiosi calciatori sovietici avevano messo in vetrina una grande velocità e una tecnica raffinata ma erano parsi leggermente manchevoli e indecisi nel tiro a rete”. Simpatie moderate ma necessarie (“calmi e potenti i difensori sovietici arginavano e stroncavano numerosi attacchi avversari”) debbono naturalmente ispirare il commento e la cronaca dell’evento su l’Unità. In sostanza: “una partita interessante ed istruttiva su cui, penso, avremo occasione di tornare, perché ne vale la pena; una partita dall’elevato standard di gioco che ha rivelato una Bulgaria calcisticamente in sviluppo e ha confermato la eccellente qualità della scuola sovietica”.

Il 18 e il 19 luglio, rispettivamente, Giuseppe Signori e Vittorio Pozzo tornano a riflettere sul match; d’altra parte, incombono ormai gli ottavi di finale, che riservano all’URSS il peggiore dei confronti al momento possibili. L'articolo di Signori fa capolino nella parte bassa di una pagina dominata dal racconto dell’impresa di Coppi sul Puy de Dome; è particolarmente interessante perché offre un’analisi più dettagliata dell’impianto tattico mostrato dalla compagine sovietica. “Si può dire che tutti i giuocatori, all’infuori del portiere, sono sempre in movimento: all’attacco, poi in difesa, poi di nuovo all’attacco, e quindi ancora in difesa. Tutto questo con continuità sconcertante”. Un gioco sostanzialmente veloce (tutto di prima, senza “cincischiamenti”, a differenza di quel che aveva raccontato Pozzo) ma impreciso; ostacolato anche (particolare taciuto in precedenza) dalla violenza di quello “provinciale” dei bulgari; destinato perciò, potenzialmente, ad essere di assoluta efficacia.

Efficacia che sospetta anche il vecchio alpino. Il suo reportage dispacciato per il quotidiano in edicola il 19 luglio [vedi], alla vigilia degli ottavi di finale (l’Italia vi affronterà - venendone travolta - la nazionale ungherese) è dedicato, per una buona metà, alla nazionale dell’URSS e in genere al calcio sovietico. Titolo: Il “mistero” del calcio russo e l’attesa per Italia-Ungheria. Vittorio Pozzo è grande esperto di calcio internazionale; ha girovagato per decenni fra gli stadi del mondo; si ricorda benissimo come la Russia ancora zarista, nel 1912, avesse partecipato alle Olimpiadi di Stoccolma: battuta dalla Finlandia solo ai tempi supplementari, “si era fatta schiacciare per il punteggio impressionante di sedici a zero dalla Germania nel torneo di consolazione”. Pozzo aveva visto il match tra russi e scandinavi: “era poverissima cosa il calcio russo a quei tempi”.

Vsevolod Bobrov, grande centrattacco della
CDKA (poi CDNA, poi CSKA)
  e della nazionale sovietica
Altri tempi, appunto: due guerre e una rivoluzione dopo, quel calcio “assurse a levatura e potenza”. Pozzo è al corrente (o sembra esserlo) di molte cose, o perlomeno raccoglie voci: voci “di istruttori presi dall’estero, di preparazione in massa, di metodi nuovi di lavoro fisico, di sistemi tattici e della capacità dei giuocatori di reggere per 90 minuti a un ritmo incredibile di velocità. Il tutto circondato da un fitto velo di mistero”. Senonché, la prestazione offerta contro i bulgari ha appena rivelato al mondo l’assoluta ‘normalità’ di quella ‘misteriosa’ ma tenuta squadra. “Forse non c’è di peggio che attendersi molto, per rimanere a bocca amara: le grandi aspettative fanno spesso apparire scadente anche il normale. Ma confessiamo che a Kotka siamo rimasti delusi. Lo diciamo senza sotterfugi e considerando l’avvenimento puramente sotto il punto di vista tecnico. L’impressione nostra è stata identica a quella di tecnici francesi, tedeschi, inglesi, finlandesi, olandesi, italiani che erano presenti. A Kotka c’era il pubblico più internazionale che si possa immaginare”. Quindi, il vecchio CU destina poche righe a una superficiale analisi tecnica e tattica della partita e dell’XI russo; è notoriamente allergico alle rigidità del WM classico, difficilmente in grado di apprezzarne gli imbastardimenti innovativi; il suo metro di paragone è costituito da una tournée in Scandinavia della Dynamo Mosca nel 1947 – di cui non vide alcuna partita –  ma non da quella (assai più importante sebbene meno recente, ma di poco) che portò la stessa Dynamo, nel 1945, a misurarsi (vittoriosamente) con alcuni club albionici e sui campi britannici [cfr. Jonathan Wilson, La piramide rovesciata, pp. 123-125]. Dichiara dunque modesto il livello del gioco sovietico, elevato solo dalle qualità indiscutibili del centravanti Bobrov e di alcuni altri elementi. Nulla argomenta circa l’assetto tattico della squadra. Pozzo lascia tuttavia balenare il sospetto che quanto mostrato contro i bulgari possa decisamente essere migliorato: negli ottavi è ora in programma infatti, una sfida ‘particolare’: URSS-Jugoslavia. I russi dunque “opposti proprio ai loro amici jugoslavi, un avversario contro il quale essi non possono fare a meno di sfoderare le più recondite risorse”.
E' un dettato, va da sé, denso di allusioni di natura del tutto extra-calcistica; e di contenuti del tutto normali in un quotidiano che la proprietà desidera proporre come oggetto di informazione e lettura alternative proprio alle masse operaie (locali e non solo); ma sono venature propagandistiche leggere, certamente, quelle affidate alla penna (mai davvero brillante) di Vittorio Pozzo, leggere ma ordinatamente calate nella progressione del discorso.

La didattica di Boris Arkad'ev
Probabilmente in modo del tutto inconsapevole e intuitivo, vicecersa, Signori aveva evocato i principi e il sistema di gioco sperimentati da Arkad’ev alla Dynamo e poi al CDSA di Mosca, già dalla fine degli anni ’30, poco dopo l’importazione da parte di alcuni club del WM – accadde a seguito delle batoste inflitte da una selezione basca, in una tournée del 1937, a tutti gli squadroni sovietici [vedine il racconto in Curletto, I piedi dei Soviet, pp. 70-72]. Da Signori è anche ricordata l’appartenenza al CDSA di molti pedatori schierati a Kotka dall’URSS: informazione non rigorosamente controllata, poiché gli elementi in questione erano soltanto tre, e ciò a testimonianza dei progressivi condizionamenti subiti da Arkad’ev nell’allestimento della selezione, che originariamente doveva (e proprio per l’assenza di una ‘storia’ precedente) fondarsi proprio sul blocco dei militari. Le innovazioni di Arkad’ev – variazioni sul ‘sistema’ – non passarono inosservate, a livello critico, in Inghilterra (mi riferisco ai matches disputate nel ’45 dalla Dynamo in terra albionica, quando tuttavia Mikhail Yakushin era già subentrato ad Arkad’ev: Yakushin sarà poi inserito nello staff della spedizione sovietica in Finlandia), e sono di recente ricordate in un apposito capitolo de La piramide rovesciata di Jonathan Wilson, il cui titolo parla da sé: “Disordine organizzato” [pp. 115-127]. Anche Curletto vi spende qualche cenno, rivendicando al tecnico sanpietroburghese sperimentazioni ante litteram di ‘calcio totale’ [I piedi dei Soviet, pp.78-80]. Certo è che, messo immediatamente sotto tutela, Arkad’ev portò forse in Finlandia una selezione diversa da quella che aveva inizialmente immaginato; meno affiatata, e perciò stesso meno competitiva. Ciò nonostante, di grande prospettiva, come basta a dimostrare  quel che si sa di due incontri di preparazione alle Olimpiadi disputati nella primavera di quello stesso 1952, poco dopo la decisione delle autorità sportive di portare ai Giochi anche una rappresentativa di football.

Puskas e Bobrov. Sullo sfondo, le
traboccanti tribune del Dynamo Stadium
Mi riferisco a due ‘amichevoli’ che opposero la ‘giovane’ nazionale sovietica (camuffata sotto il titolo di ‘selezione moscovita’) all’XI più forte del momento e del mondo: l’Ungheria di Sebes, di Hidegkuti e di Puskas. Le prime due di cinque (tre sole, le ultime, entrate nei diari ufficiali) fra le nazionali dell’Unione Sovietica e dell’Ungheria fra il ’52 e il ‘56. Entrambe vennero giocate al Dynamo Stadium di Mosca. Il 24 maggio finì con un gol a testa [Tabellino e racconto (in russo)] . A giudicare dal resoconto dell’inviato di Sovetskij Sport, il match fu piuttosto equilibrato: al vigore offensivo dei sovietici si contrappose il fraseggio dei magiari (passaggi non più lunghi di 8-10 metri), i quali – passati in svantaggio – giocarono un football più incisivo nel secondo tempo. Pochi giorni dopo, le squadre tornarono in campo. I sovietici presentavano una formazione sostanzialmente invariata, a fronte delle quattro novità portate da Sebes; curiosamente, Puskas cede nell’occasione la fascia da capitano a Lantos (Lendenmayer) Mihály. Si è trattato, probabilmente, della migliore prestazione offerta dagli uomini di Arkad’ev, che ottengono una “vittoria capitale” (Sovetskij Sport), opposti a un formidabile avversario – la cronaca insiste, anche questa volta, sulla grande organizzazione di gioco dell’Aranycsapat, fondata su possessi insistiti alla ricerca di soluzioni d’attacco improvvise e veloci. Puskas, ingabbiato, riesce solo ad accorciare le distanze: finisce 2 a 1 [Tabellino e racconto (in russo)].

Non compreso nelle statistiche ufficiali, ignorato dalle tabulae della FIFA e dell’UEFA, questo match costituisce una soluzione di continuità nella striscia vincente della grande Ungheria – ufficialmente, appunto, interrotta solo dalla Germania nella finale di Berna. E’ peraltro difficile misurare quanto ardore "Öcsi" e i suoi compagni profusero nell’occasione; altrettanto arduo è tuttavia immaginarne un impegno ridotto da considerazioni di natura politica, e dunque una bassa tensione agonistica indotta. Quelle due partite, certamente, contribuirono a sviluppare nell’entourage sovietico una certa fiducia; aspettative la cui fondatezza sarà misurata, il giorno 20 di luglio, da una sfida – come rilevava Pozzo – del tutto particolare. La sfida contro un’altra fortissima squadra: la Jugoslavia. Staccato il biglietto per gli ottavi, arrivava il momento della verità.

Mans